venerdì 31 dicembre 2021

Fine anno - dieci

 




La rabbia, l'ira funesta che vive in te, in me, ha radice antiche. La ricordo in mio padre, un giorno di Natale di tanti anni fa. Per regalo un calcio balilla in plastica con i giocatori con le molle che si tendevano per lanciare la palla in rete. A mio fratello un flipper sempre in plastica. All'ora di pranzo mio padre ci chiama. Mio fratello, preso dal gioco, non si alza per andare a tavola: mio padre rabbioso inizia a colpire con calci i giochi appena donati, e in un attimo sono rotti entrambi.

Che speranza abbiamo di vincere le nostre emozioni? Le passioni che ci rendono umani e che a volte ci trasformano, in inumani, freddi e insensibili come pietre, fragili e sottili come un vaso di ceramica, crudeli come un padre, come un figlio.


Emozioni

Malinconia della tua lontananza,
la rabbia che esplode, brucia, corrode,
le parole tossiche nella stanza
raggelano, "non sei più il mio custode".
Il rimpianto nella nostra distanza
è rimorso crudele che erode,
spina feroce la tua noncuranza
di cui questi giorni non sono che code.
Perduto il sorriso resta il dolore
di notti smarrite a cercare il quando,
a chiedersi come, ma senza risposta.
Paura non resti altro nel cuore
se non supplizio, tremore, il pianto,
la barca nel mare, lontano la costa.


martedì 28 dicembre 2021

Quotidianità - nove

 


L’afasia è il risultato di questi mesi di silenzi, di cui non restano che immagini sfocate e qualche canzone.

Non mi spingo più in là, non sporgo il viso oltre il bordo fioco. Forse non faccio quel passo per paura, paura della porta sbattuta in faccia, del pugno sul tavolo, delle grida d’ira, del silenzio.

Siamo ciechi l’uno all’altro, ognuno vive nel suo mondo chiuso, nel suo schermo di cellulare o computer, e l’altro, figlio, padre, è un riflesso ai margini, un’ombra che passa veloce e poi scompare. E non c’è neppure la nostalgia, il ricordo di com’era. Tutto bruciato, tutto dimenticato. Troia è in fiamme, ma tu non hai salvato i Penati, non porti sulle spalle il vecchio padre e per mano il figlioletto. Sei solo. Come me.

E se tra noi non c’è più niente, se non la cenere di un passato lontano, che cosa mi resta? Che cosa ti resta? Puoi costruire il tuo futuro sull’odio, quando anche il desiderio è spento? Posso essere per te la ferita? Posso essere per te il nemico? Ma se anche fosse, sarebbe già un sentimento, un moto del cuore che spinge all’urto, al conflitto, al confronto, a mettersi in gioco. Anche all’abbandono. Non così, non questo; quello che ti porta a lasciare la casa e cercare la tua via, a sentire i colpi della vita sul corpo, col sangue che pulsa e il pensiero di cosa mangerai domani.

Qui è un nascondersi, è un aspettare, un lento declino nell’attesa che accada una meraviglia. Ma non accade mai.


domenica 26 dicembre 2021

Tre anni di messaggi - otto

 


Non sono contento delle spese che fai. Possibile che tu debba uscire ogni sera? Possibile che tu, più volte a quanto capisco, debba mangiare fuori? E poi? Quali altre spese? Continui in questo tuo atteggiamento di assoluto menefreghismo nei nostri confronti, continui in questa estate di bugie e rifiuto di consigli. Non sono sereno, te lo dico chiaramente, e spero solo che una volta qui ti dia una regolata rispetto a questo sregolamento dei sensi. Sappi che le regole qui non sono cambiate e non cambieranno. Puoi rispondermi o meno: sono oramai abituato ai tuoi silenzi.

Continui a fare paragoni. Noi non siamo e non ci comportiamo come gli altri. Facciamo ciò che riteniamo giusto e che crediamo essere la cosa migliore. In un mondo che ha eletto il consumo a proprio idolo (e per questo sta morendo) noi crediamo in altro. Mai nel denaro. Ne parliamo quando torni.

"Non si ripeterà più" non dovrebbe essere solo un modo di dire relativo alla puntualità, ma al modo di comportarsi: mangiare insieme, essere puntuali, non fare tardi, rispondere ai messaggi...

Non credi di stare continuando a sbagliare? Dove sei stato? Che stai facendo? Quando deciderai di organizzare, in maniera adeguata al tuo futuro, il tempo?

Ti pregherei di essere più responsabile: il telefono lo lasci a me e ti concentri nello studio e nel recupero degli impreparati, perché quello che scrivi sono scuse. 

Il tuo futuro te lo giochi ora, con le scelte che fai ora (anche in questo momento). Quindi decidi bene chi vuoi essere perché se non ti aiuti, se non ci aiuti, potremo fare ben poco in seguito.

Non credere di avere il primato delle lacrime, visto che noi per te e i tuoi fratelli piangiamo ogni giorno.

Ti devi solo vergognare del tuo comportamento, delle tue bugie e delle tue false promesse.

Ma se non ti importa niente di noi e di te stesso, almeno cerca di rispettare le indicazioni di legge.

Avevamo stabilito altro, mi sembra. Così come mi sembra che io sia sempre disponibile nei tuoi confronti a differenza di te.

Oggi hai giocato alla Playstation, visto un film e sei uscito. Cioè dello studio non te ne sei proprio importato. 

Bene. Non vuoi ricevere messaggi e telefonate? Non ne riceverai. Vuoi che io me ne vada a dormire felice e contento? Te lo puoi scordare. Penso di averti dimostrato con i fatti quello che mi preoccupa (e certamente non puoi negare che ho ragione di preoccuparmi di alcune tue azioni), per cui viviti i tuoi diciotto anni e lasciami alla mia vecchiaia di merda e pessimista. Non sei un bambino ma non sei ancora neanche un adulto conscio di quello che può accadere con le sue azioni. Quando hai avuto bisogno di me (e anche quando non mi volevi) ci sono stato. Perché questo fanno i genitori. Supportano, aiutano, ma dicono anche di no. Questo è l'ultimo messaggio che ti mando.

Che dirti? Posso starti vicino come padre ma, sempre come padre, devo dirti anche altre cose: tu vivi le sofferenze dei tuoi 18 anni come assolute ma, non sai cos'è il dolore della perdita, di veder morire, a quell'età, la persona che si ama, a soffrire l'abbandono di chi non potrà esserci, per sempre. Allora dai un orizzonte al tuo "non riuscire". Dagli il giusto peso ed impegnati, ora, per costruire te stesso. Nell'impegno quotidiano dello studio, della lettura anche dello sport. Vi sono impegni vicini che vanno onorati, scelte da fare. Ci saranno altri tempi di gioie e di dolori, di felicità improvvisa e di tormenti, di amore e amicizia, di morti e passioni. Ora hai 18 anni, con le sue passioni tristi, le nuvole scure, i sentimenti che sembrano assoluti. Attraversa questo tempo senza fartene dominare, trova le motivazioni per prepararti al domani, trova la strada della tua passione di studio, leggi e trova nei libri la risposta ai tuoi tormenti. Lascia perdere le vie facili dello sballo e del "cervello quantico", le cose si attraversano (e si conquistano) con fatica, dolore, impegno. Anche il "male" di oggi sarà diverso.

Ti sembra normale passare i giorni così? Di giorno a letto a dormire, di pomeriggio cellulare a giocare e poi esci e rientri alle cinque? Credi che sia questa la vita da vivere? Vuoi sprecare le tue possibilità? Vuoi distruggere la pace familiare che con fatica portiamo avanti? Sono 4 mesi che non prendi un libro, non ti metti seriamente a studiare e riflettere su quello che dovrebbe essere il tuo futuro. E lasciamo stare la mia angoscia, il dolore di D., la famiglia in ambasce. Almeno cerca di riflettere su di te. Ritrova il centro, riorganizza la tua giornata. Tutto quello che mi avevi promesso lo hai buttato al macero. Oggi è il 4 settembre: basta con i rientri alle 2, alle 3, alle 4, alle 5. Considera te stesso e anche, a questo punto, soprattutto noi che abbiamo ripreso le nostre vite lavorative e abbiamo bisogno di sonno e tranquillità per far bene il nostro lavoro. Non essere egoista rischiando per un piacere immediato di perdete il futuro, la stima, persino l'affetto. È nella famiglia che ci sono le radici e per quanto siano importanti gli amici, è lì la vera energia e forza da cui attingere. Inizia da oggi un comportamento migliore: rientro a mezzanotte, sveglia alle sette, studio, guide, campetto e uscita. Ma fallo rispettando le forze e gli orari di famiglia: pranzo e cena, rientri; non considerare la casa come un albergo, non lo è: è un luogo di sentimenti e affetti. Rifletti su quello che può essere la tua vita, l'università, la prova che ancora devi affrontare (e dovresti cercare di affrontarla al meglio), la possibilità che hai di vivere una esperienza importante in una città diversa. Non sprecare quanto fatto né i soldi spesi (col rischio di averne buttati un bel po' dalla finestra). Attendo.

Considera anche che noi abbiamo raggiunto un'età in cui i malanni, anche gravi, cominciano a manifestarsi: fisici e mentali. E non parlo solo dei dolori a gambe e piedi, ma quelli più seri che riguardano cuore e cervello. Uno stile di vita sano e tranquillo garantirebbe una migliore integrità dei nostri corpi e delle menti. Iniziamo ad essere anziani. Pensa anche a questo.

Vorrei sapere come sta andando. Stai studiando? Stai seguendo le lezioni? Ti stai impegnando senza perderti dietro altre cose? Stai facendo una vita sana (andare a dormire e svegliarti in modo regolare, non fumare, mangiare sano ed a orario...)? Dove mangi, mensa o casa? Sei attento ai soldi? L'investimento economico ed emotivo che abbiamo fatto non è di poco conto. Spero tu te ne renda conto.

Sono molto preoccupato. E non (non solo) per il coronavirus, ma per il modo in cui stai affrontando l'università. Vai a dormire tardi (è possibile che vai a dormire ogni giorno tra le 2.30 e le 4.30?); non segui alcune lezioni (se vai a dormire tardi e mi scrivi che ne devi recuperare alcune, significa che la mattina non ti svegli e quindi non le segui); non studi quanto dovresti e potresti. l'università da parte nostra è un atto di fiducia e un investimento. Io non sono potuto andare a studiare a Roma perché mio padre non aveva i soldi per mantenermi. Poter continuare a studiare lì, per te, comporta essere in regola con gli esami e i cfu e il programma del Collegio (perché solo in questo modo tu puoi continuare a stare in collegio e noi possiamo accedere a una borsa di studio che consente di farci diminuire il pagamento delle tasse). In altro modo non solo saremmo in difficoltà economica (e già questo basterebbe), ma soprattutto come genitori non potremmo consentirti di buttare la tua vita. Puoi arrabbiarti, odiarci, dirci che abbiamo fallito come genitori o dire quello che vuoi, ma questa è la realtà. Il compito nostro è preoccuparci del tuo avvenire e, nel caso, intervenire per come riterremo giusto per te e per la famiglia. Come vedi, anche se sei distante, noi continuiamo a preoccuparci, a discutere, a cercare (per quel che è nelle nostre possibilità) di indirizzarti. Ma lo sforzo maggiore, la presa di responsabilità (perché è di questo che si tratta) e di cura di te stesso (e di noi), il senso del dovere sono tutti a tuo carico. Comprendi queste cose non lasciartele passare addosso, impegnati al meglio, come sei in grado e sai fare. Con affetto.

È evidente che quanto ti scrivo e ti dico non ha per te alcun interesse né importanza. Le conseguenze delle nostre (mie e tue) azioni faranno soffrire tutti. Spero di sbagliarmi.

Vorrei scriverti tante cose... Però ora non riesco. Ti mando una foto di stamattina che esprime uno stato d'animo: la gioia e la nostalgia, l'amore e la paura. Sai quanto ti voglio bene.

Buongiorno. Per mia tranquillità ho bisogno di essere rassicurato sul fatto che sia tutto a posto. Perdonami quindi per le domande "di controllo": l'esame di cui hai fatto l'esonero, l'hai fatto registrare? I due esami che devi fare, li hai prenotati? Insomma, le questioni tecniche e organizzative sono risolte?

Sei nato alle 9.30 di venerdì 1 febbraio. Io ti ho visto 15' dopo, nella incubatrice, con la tutina gialla e gli occhi curiosi aperti sul mondo. E il cuore ha fatto un tuffo, e da allora continua a battere senza sosta e a fare capriole. E credo non smetterà mai di farlo, e quello che sento per te non so neanche esprimerlo. Buon compleanno figlio mio.

Ci sono cose che già ti ho scritto e detto: sulla famiglia su cui puoi sempre contare, sugli amici che scompaiono, quelli della "fortuna" che oggi ci sono e domani no. Io sono stato fortunato: ho un amico che è con me da quasi 50 anni, ed un altro che ho conosciuto all'università. Due amici sono un mondo intero. Non essere troppo duro con i tuoi, forse non sono amici ma solo conoscenti di una età, di un periodo della tua vita. Ce ne saranno altri, e alcuni forse saranno quelli giusti, quelli per sempre, come l'amore. Vivi, ora, con quelle persone che ci sono intorno a te, contando poco su quelli che hai lasciato (e magari ti sorprenderanno oggi...), sapendo che qui, in questa casa, c'è chi ti pensa, e ti ama.

Ti voglio bene, anzi ti amo con tutto il mio cuore.

Noi ti parliamo di famiglia, affetto. Lo capisci come ci sentiamo? Essere responsabili non solo verso se stessi ma anche verso i propri cari. Ma come credi ci sentiamo?

La situazione è questa. Crediamo tu non stia facendo niente. E la cosa grave è che tu non ce lo abbia detto. Unica soluzione è che tu rientri e studi da qui. Almeno risparmiamo gli inutili soldi della settimana. Sarà un inferno, per te e per noi, ma questa da genitori ci sembra l'unica soluzione.

Vorrei tu riflettessi su questo: non c'è più tempo, non puoi più procrastinare. Sono rimasti poco più di due mesi per prepararti al meglio, per vedere di restare lì, per dare una svolta alla tua vita. Quindi, per favore, metti via il telefono che ti distrae e ti procura i fastidi anche fisici che sai. Mettiti con impegno a studiare. Riprenditi seriamente la vita.

Riesci a vederci? Riesci a guardare il noi che c'è al di là del tuo io? Puoi farlo? Vuoi farlo? Riesci a non prenderci, prenderti in giro? Due mesi fa sei sceso dal treno facendo una promessa. Possibile fossero solo parole? Io sono disperato. Io ti vedo passare i giorni a non far niente, mentre ti consumi in giochi, ricerche insensate, noia, orrori quotidiani. E noi deperiamo con te, spezzati dall'incapacità di scuoterti. Sì, sono un incapace, illuso di spingerti all'essere responsabile. Incapace anche di essere brutale, incapace di dirti il mio pianto. Incapace nell'angoscia. Inutile. Puoi sentire il mio senso di inutilità? Io non sono niente. Solo un padre.

Tu non comprendi, non puoi comprendere come noi ci sentiamo, come IO mi senta, non ne puoi avere un'idea, neanche piccola di quello che ho IO dentro, nello stomaco, nella testa, nel cuore. Non ne puoi avere idea

Il fatto che hai di nuovo tolto la condivisione dell'accesso e la visibilità non comunica nulla di buono. Continui a dire che la famiglia è più importante, ma non fai niente per mettere in pratica questo pensiero.

Sì, io sarò pure uno stronzo, come dici tu, ma non credo che meritiamo tutto questo. Le nostre "colpe" le abbiamo abbondantemente pagate durante tutta la nostra vita. Cerca di capire. La preoccupazione è per il tuo futuro, non certo per noi. Cerca di portarci alla luce, di vederci. E forse capirai.

Lo so. E però a volte è così grande il bisogno che si viene meno. Dall'ultimo capitolo del libro di Zimbardo, per promuovere resilienza e virtù civica: "Ho sbagliato". Cominciamo imparando ad ammettere i nostri errori prima a noi stessi e poi agli altri... "Sono responsabile". Assumere la responsabilità delle proprie decisioni e delle proprie azioni...". Il messaggio finale, dopo gli orrori raccontati, è di speranza.

Figlio. io non lo so se i miei sono sproni o rimproveri, ma sento l'esigenza di scriverti perché le cose non vanno bene, Le preoccupazioni per te e per ** aumentano, non ci fanno dormire la notte. E' il respiro che manca e che fa accucciare a terra e piangere. Oggi sentivo Mia Martini cantare " Almeno tu nell'universo" e mi sono messo a piangere. C'è una lama che non va via e taglia stomaco, intestino, cuore, lacera l'anima. Mi trovo a pregare Dio, io che non credo, come quando ero ragazzo. Figlio. Cosa stai facendo della tua vita? Sono preoccupato che questo abbandono del tentativo di studiare, di organizzare il lavoro preluda ad altri mesi di inedia, di sonno e stravaccamento nel letto. Mi hai detto, quando ci siamo sentiti, "mi piacerebbe andare al mare". Ma non è già vacanza quella che fai? Sono rimasto di sasso quando hai detto che sei andato in Liguria. Ma pensi a luglio? Pensi a quando tornerai? Mi piacerebbe credere che ti stai organizzando lo studio, che comunque stai preparando un esame per non perdere la "manualità", l'elasticità della mente che va curata come un muscolo. E' rimprovero, questo? Io lo credo un invito, uno stimolo a pensare. Pensi mai a cosa sarà a luglio? Lo sai la vita che noi facciamo qua, con tuo fratello sempre più arrabbiato e silente e che ci odia? Ci odi anche tu? Non mi importa, non mi importa. Basta che nella tua mente sia chiaro quello che vuoi fare. Ma non domani, non procrastinare. Già viviamo in un inferno, anzi non viviamo, siamo nel limbo in attesa. Chiamami.

Io anziano di sicuro e quest'anno sono invecchiato ancor di più. E l'angoscia non smette,. Non smette il pensiero di te e la paura.

Io non so ancora cosa vuoi fare della tua vita.

Pensieri in libertà. La voglia di chiamarmi di ieri è forse frutto di sensi di colpa? Credi di aver fatto cose che non avresti dovuto fare, o che io avrei potuto immaginare sbagliate, e l'ansia ha preso il sopravvento? E, pensando a ieri, forse dobbiamo ricalibrare le cose: chiudere con *, vedere qualcosa di pratico, un lavoro, un impegno quotidiano di "fatica" (visto che i libri sono fonte di angoscia), cercare di vincere l'inedia, sapere che la vita non è una vacanza perenne, e che la sofferenza ne è parte integrante. Ci sentiamo più tardi.

È arrivato il momento di mettere un punto fermo a tutto e di chiudere con *. Ti prego quindi di farti mandare la fattura degli incontri fatti e chiudere. Fine settimana possiamo venire io o mamma per i bagagli.

La situazione è talmente grave in famiglia che stiamo pensando di separarci. Non ci sono colpe. È degenerata ogni cosa. Abbiamo fallito come coppia e come genitori. Ma questo non riguarda voi. Non c'entrate, riguarda me e D..

Quindi è questa la vita che vuoi fare?

Non lo so tu che pensi. Non lo so cosa vuoi fare della tua vita. Non so nemmeno se rifletti su noi e quello che proviamo. A me sembra che tu non voglia nemmeno provare a regolare la tua vita. Che fai fuori fino alle 4? Dove stai? Con chi stai? Sono impotente di fronte ai tuoi rifiuti.

Vorrei che TU la smettessi, visto che non capisci cosa sta succedendo in casa o forse te ne freghi. Quindi ora vediamo dove te ne devi andare e la finiamo.

Non sono le parole a ferire. Sono gli atteggiamenti. E se i miei modi ti sembrano inurbani, pensa ai tuoi comportamenti.

Perdonami, queste ultime parole, inutili, lo so. Hai detto che ci hai provato. Però non è così che riuscirai, stare tutto il giorno a letto, non andare all'Università o in Biblioteca e nemmeno poi all'allenamento, e invece uscire alle 10 di sera. Riflettici. Forse si può iniziare dalle piccole cose, da una regolarità di vita che ora manca.

Ti chiedo di riflettere. Pensa al modo in cui vivi le tue giornate e a quello che vuoi essere. "Se miri al niente, colpisci il niente".

(settembre 2018 - novembre 2021)

Daddy nostalgie - sette

Caro Nicola, non so ancora cosa sarà questa mail, forse solo alla fine avrà chiarezza di quello che in questi mesi mi frulla per la testa e cerca di arrivare alla luce senza riuscirci, che cerca di trovare le parole per sciogliere il grumo duro che si è andato formando e blocca il respiro. Ma queste sono solo parole vuote. Ho cercato a lungo di scriverti, ho pensato parole (belle, importanti, finalmente lineari) ma non sono mai riuscito a dargli peso per fissarle sulla carta. Piango spesso. Ascolto musica. Mi do pugni sulla testa. Leggo. Faccio il mio lavoro al meglio che posso. Ascolto Delia e la vedo struggersi, come me. Di notte mi alzo e cammino per casa. Mi fermo davanti alla porta, chiusa, di camera dei miei figli, accosto l'orecchio a sentire i respiri. Sopravvivo con questa angoscia, con le mille domande di cosa ho sbagliato, di quale peccato ho commesso, con loro bambini, che ora mi viene fatto scontare. O forse è il peccato di me figlio con mio padre, del dolore che ho dato a lui e che ora ritorna. Lotto. ma non so se riesco. Penso spesso che non sono il primo: altri prima di me hanno lottato con tardive adolescenze (***), adolescenze piene (**), imminenti adolescenze (*). Altri hanno subito colpi ben più forti e ben più gravi. Lo so. Ma questo non è di conforto, non aiuta a scacciare quel senso di impotenza. Come non aiuta l'idea che, in fondo, troveranno anche loro la propria strada, che dovranno scontrarsi direttamente con le difficoltà, affrontare il dolore della sconfitta e dell'insuccesso, sulla propria pelle, sulla propria vita. Non aiuta. Perché quello che manca è altro.

E le parole che ti dicono, Nicola, non hai idea. L'odio che esprimono è qualcosa che spezza il cuore. Ma neanche questo fa male. E' lo spreco, lo spreco di vita, di intelligenza. Si può passare una giovinezza sul letto con le cuffie e i video di instagram? Si possono passare i giorni tutti uguali senza far niente per cambiare, crogiolandosi nella propria insipienza, dando a qualcun altro (un male fisico, un male psichico, un amico che non risponde, un genitore che non capisce) sempre e sempre la colpa senza assumersi le proprie responsabilità? Le scuse che si trovano, anche in episodi costruiti ad arte del passato. E non ci sono parole che tengano, qualunque cosa si dica, qualunque cosa si faccia: parlare con loro, con la psicologa, con gli esperti di studio, con gli insegnanti, con gli amici poliziotti, con tutti Nicola. Ma sembra che niente funzioni, che niente riesca a smuoverli, a far loro comprendere né il nostro affetto, né le nostre paure, né il nostro sostegno e le nostre richieste (semplici, banali...). Non ci danno peso (traduzione che leggo in un libro di Erri del verbo "onora", "dai peso a tuo padre e tua madre"), siamo fuori dal loro orizzonte visivo e mentale, tutti presi dal proprio io, dal proprio buchetto, incapaci di guardarsi intorno, di vedere chi è loro accanto e del mondo che li circonda. Tutti fissi su uno schermo, sul nulla.
Le parole che scrivo non sciolgono il grumo e non dicono nulla, lo so. Ma è un modo per dirti che ti so vicino, che ti voglio bene, che penso spesso alla nostra adolescenza, ai miei mutismi (come quelli di **), alle mie difficoltà ad Ingegneria (in parte simili a quelle di ***), ai pensieri che avevo allora, a quanto sia stato e sia importante questo legame con te (e forse questo manca ad entrambi, un legame come il nostro), a quanto l'amore e il dolore ci abbia segnato (e forse manca loro anche questo...), ai libri letti, che vorrei loro incontrassero, quei libri che ti cambiano la vita, alla scrittura, al senso del dovere.
Ascolto questa canzone pensando a *** e mi viene un magone che non so mandare via.


Mi è venuto in mente un film che nei miei 20 anni ho visto a Napoli (all'Astra, durante i mercoledì d'essay), con una frase che, forse in maniera distorta, avevo anche scritto nella mia "prima raccolta" poetica. Il film era Daddy nostalgie di Tavernier. Ho ritrovato la citazione girando per internet:
"Allora Caroline vagò per la città, a lungo. Non aveva la forza di fermarsi, né di sedersi in un caffè. Attraversò le strade senza vedere niente andando diritta davanti a sé, gli occhi spalancati come le aveva suggerito suo padre, perché la dolcezza di vivere è così effimera, amore mio. La dolcezza di vivere, la dolcezza di vivere… glie ne aveva parlato spesso, ma sempre al passato, come di una felicità che era andata in frantumi un poco alla volta, che lui aveva smarrito lungo la strada. Senza dubbio gli sarebbe piaciuto che lei si chinasse per aiutarlo a raccogliere i pezzi e a rimetterli insieme. Senza dubbio gli sarebbe piaciuto parlarle ancora e ancora fino a confessarle le sue paure, fino a che lei sarebbe riuscito a riscaldarlo. Ma lei era partita, e lui non aveva avuto la forza di aspettare il suo ritorno. L'indomani, si sarebbe confrontata con il viso sfatto di sua madre al capezzale di un vecchio giovanotto nato tra le due guerre. E il tempo sarebbe stato splendido. Allora Caroline avrebbe aperto le finestre e sua madre le avrebbe chiesto "A che serve ormai?".
"A far finta di vivere, in attesa che ce ne torni la voglia". '

Ecco: aspettare che torni la voglia di vivere, aspettare che il tempo cancelli il dolore di adesso, aspettare un tempo in cui ne rideremo con loro.



(maggio 2021)

venerdì 24 dicembre 2021

A margine - sei

 


Camminando lungo questo dirupo che è diventata la mia vita, non riesco più a vedere un viottolo che riporti al centro, che ridia senso al mio essere genitore. Mi sembra sempre di girare inutilmente in tondo senza vie di fuga, in una spirale di speranze subito svanite, grumi di voci tenute dentro, pianti, silenzi, tanti silenzi. Ho sempre pensato "fino a qui, e non oltre, c'è di sicuro un margine al di là del quale non si potrà più andare", come un cartello di pericolo generico che ti avvisa e ti fa rallentare e prestare attenzione, ma non è così, non c'è un orlo, un parapetto di sicurezza. Noi ci proviamo, ma non basta.

E' peggio durante queste feste, in questo tempo vuoto dagli impegni, in cui la testa gira in tondo sempre lì, sempre lì... E stare in casa è un tormento, l'inferno in cui viviamo è qui, presente, senza scampo, senza neanche la scusa di andare a lavorare, senza neanche le occupazioni che tengano la mente per qualche ora lontana dall'essere presente a se stessi, dell'essere presente nelle assenze di rapporti, di parole.

Peggio, peggio questo tempo vuoto, peggio queste feste in cui non uscire di casa per andare al lavoro lascia il tempo alla rabbia, alle recriminazioni, al dolore non più taciuto, nascosto sotto il letto al mattino e ritrovato intatto la sera. No. E' sempre qui, con me.

E  allora non resta che uscire, scappare, correre via, perdersi tra la folla intenta ai regali, camminare senza meta, senza sosta, fino a stancarsi, a perdersi, a dimenticarsi...

Colpe - cinque


 Mio buon amico, trovo sempre più difficile scrivere, mettere su carta i pensieri che girano, girano, senza mai fermarsi. Do fiato alle parole per strada, si formano nuvolette di pensieri che si rincorrono nel cielo terso di questi giorni, immobile e silenzioso nelle ore più calde. Salgono quelle nuvolette, si gonfiano e poi esplodono senza rumore e senza colori, grigi fuochi di artificio senza voce. Ho scritto lettere bellissime in questo modo, lasciandole trasportare dal vento.

E' che non ci riesco a parlare, son diventato muto a furia di silenzi. I pensieri invece non mi abbandonano mai, sottili si insinuano quando meno me li aspetto, e poi si gonfiano come bolle, ma bolle di marcescenza, che esplodono lasciando odori pestilenziali che infettano tutto.
Penso spesso alla morte, a quelle parole che scrivevo ragazzo, alla morte di nonno Giuseppe, in terza media, quando la prof.ssa di Italiano di Sergio, venuta per una supplenza, ci chiese di scrivere un tema, e io scrissi che quella mattina mio padre aveva ricevuto la telefonata che diceva che il nonno era morto, e i miei pensieri, e chiudevo chiedendo di morire prima dei miei cari con un "Ascoltami Gesù" che era un grido disperato per non sentire la sofferenza.
Disperato. Ecco, questo è il vocabolo giusto di questi giorni, di questi mesi. Senza speranza, trascinando il giorno, con la crepa che si è fatta baratro. Ma di che poi? Me lo chiedo ma non ho risposta. E' fatto di niente questo baratro, di pensieri, di parole dette e di parole non dette, di silenzi e di grida, di paura e dolore indescrivibile che fa subito inumidire gli occhi e girare il volto. Cosa c'è, mi chiedo, cosa puoi fare, mi dico, Le risposte sono sempre le stesse: niente. E questo niente ha preso corpo, è diventato un grumo presente in casa, tra tutti noi in famiglia, una presenza ostile e disperata, un nero che inghiotte tutto.
* ne è ancora fuori (fino a quando?) ma già ci sono i sintomi, il distacco, il fastidio... l'odio? Si manifesta con risposte sgarbate, scostamenti, battute cattive.
** ne è impregnato. L'odio che ci manifesta è silenzioso, ostile, fatto di monosillabi incomprensibili, porte chiuse che ci tengono fuori, rabbia e offese.
*** non ci parla più. Da quando D. è andata a prenderlo a Torino passa il giorno nel letto e la notte fuori. Torna alle 4 del mattino e niente serve con lui, le richieste di chiarimenti, le visite, la gentilezza, il rigore. Non mangia più nemmeno con noi, suprema forma di opposizione alla famiglia, già messa in atto da **. Neanche i fratelli si parlano, ostili l'uno all'altro, persi nei loro pensieri, nei loro amici, nella ferrea volontà di lasciarci fuori perché niente abbiamo da dargli, da dirgli, da offrirgli.
Con D. è un lento naufragare, un lento, costante allontanarci, un sentirsi dispersi anche se insieme. Lei combatte ancora, ma ogni sera è sempre più disperata, piange da sola, pensando che non la veda, che non la senta. Si dà forza al mattino, ma pian piano, mentre avanza il giorno, e poi quando arriva la notte, le forze la abbandonano e anche lei non vede più vie d'uscita intorno ed anch'io, che ero il suo scudo, sono venuto meno. Facciamo le cose che vanno fatte, la spesa, cucinare, i servizi in casa, ma è un dover fare, non c'è gioia in nulla. Cosa resta di noi? Lo sfaldamento è tale che basterebbe un soffio per vederci disperdere tutti in direzioni diverse.
Io, finita la scuola, ho sentito il peso di tutto. Il pensiero della scuola, delle lezioni, degli alunni, mi faceva compagnia, mi teneva occupata la mente, ora no, dal risveglio a sera sento quei pensieri che marciscono, quelle parole che restano dentro, che si sono fatte un mostro che divora ogni cosa, e mi resta il silenzio senza pace, fatto dolore e sangue e inutilità, apparenza di vita.
Se non rispondo, se non ti chiamo, è solo per questo, amico mio. Non c'è nulla da dire. Non te ne avere a male. E' questa appocundria, che il caldo fa aumentare, crescere, diffondersi. Non ti preoccupare. Non c'è niente che puoi fare o dire per cambiare le cose. Passerà come passa ogni giorno, così come è venuta. E allora ne potrò sorridere e ne potrò parlare.


(luglio 2021)





lunedì 20 dicembre 2021

Ombra - quattro

 


Invisibile. Agli occhi. Su questo prato abbandonato non ci sei, se non come ombra nei pensieri, come l'immagine fugace di qualcuno che forse conosci, forse è importante, ma già scantona, e non c'è più. Resta un'ombra che rapida si allunga, si allontana, scompare.

Invisibile. Al cuore no, perché quello tutto ricorda, tutto trattiene, la gioia e il dolore, i volti e gli odori, che se chiudi gli occhi, ecco, sono qui, sorridono, ti toccano la mano. Anch'io allungo la mano, ma resta evanescente il corpo, evapora nell'aria. Nella retina resta come un'ombra di quel che era, e non è più.

Invisibile. Anche se sono qui, presente, ma chiuso in questa stanza, alla scrivania, a scrivere parole che non sono che ombra di quello che provo, di quello che sono. E non so più dire se sei tu o sono io, a questo sguardo miope che non mette a fuoco, non so più dire se sono le lacrime che confondono o se non posso più vedere perché sono cieco, cieco di emozioni, ombra io stesso tra questi corpi neri che camminano veloci e non sanno niente di te, di me, della linea sottile che ci univa e che ora scompare, mentre avanza il buio. Nemmeno l'ombra resiste. Ecco, non è più.

Invisibile. La luce dei lampioni non illumina i visi. Meglio il buio, sì, che tutto nasconde, anche l'orrore di parole di accusa, il distacco di chi ti teneva la mano o ora dice no. Sei diventato ombra, sei invisibile al mondo. Non ci sono più.   

domenica 19 dicembre 2021

Dispaccio - tre

 



Ma davvero è questo che vuoi essere? Davvero è questa la vita che vuoi fare, aspettando non so cosa, rimanendo tutto il giorno nel letto e uscendo la sera? Neanche più basket? Neanche più una parola che non sia di rabbia? Quale mai terribile colpa abbiamo che ci vuoi far scontare? Ci vedi ? Riesci a vedere quello che cerchiamo, ancora e ancora, di fare? Riesci a percepire il nostro amore? E il dolore? Io il dolore lo vedo, e vedo anche la rabbia, e anche la noia. Ma nulla ti scuote? Io non ti so parlare, non più, perché percepisco il tuo fastidio, lo spostamento fisico che riduce il contatto, il rifiuto. Ma fai tu qualcosa per te stesso, che sia di cambiamento. Si cade. Ci si fa male. Si sbaglia. Ma per te ci sono tante strade da scegliere. Accetta gli errori, accetta di non essere il migliore, accetta di sbagliare e vai avanti. Prova. Segui fino in fondo una cura, affidati. Non fare che il tuo orgoglio ti vinca. Impara a non guardare solo te. Noi siamo qui. Tu dove sei?

martedì 14 dicembre 2021

Novembre - due

 


Ammutolito, senza più voce, resta solo un corpo vuoto. Vi guardo a volte con tale dolore che chiedo l'insensibilità come balsamo, non vedere e non sentire, non esserci.

L'incapacità di aiutarti mi distrugge, spegne i propositi, tutti i discorsi che mi faccio, tutte le cose che mi dico, tutte le azioni pensate e non fatte. Guardo le tue foto di bambino, penso ai tuoi sogni, ai tuoi bellissimi sorrisi, gli occhi luminosi. E così di quel che eri resta l'arrabbiarsi, come quel bambino nella foto, che, se non si fa come dice, non parla più, si chiude in camera.

Anche tu fai quel gesto, anche tu ci chiudi fuori e rifiuti tutto ciò che non è nella tua cerchia, genitori, fratelli, parenti. Tutto. Il codice è vestirsi come quegli altri (ma chi, poi?), oggettivarsi come loro, perché chi non è come noi è contro di noi. Ma contro cosa? Pensi di sapere le cose, di conoscere il mondo, di ingannarci, ma l'unica cosa che fai è ingannare te stesso.

Ancora a metà tra rifiuto e accoglienza, detestarci o amarci, abbracciarci o respingerci. Mi fido ancora delle tue parole, anche quelle di rabbia improvvisa, ancora ci spero nel tuo cuore, nella tua testa. Passerà anche questa, mi dico, anche questa sarà una stazione di dolore dove fermarsi per andare in bagno e ripartire.

Ti credevo un gigante. Sei piccolo. Piccolo di età e di cuore, non vedi oltre il passo che fai, la mente ristretta in un punto, non si slarga, muore.

Il silenzio si è fatto spazio tra le parole, è diventato un muro, non ci vediamo più. Nemmeno le ombre, nel buio, si allargano. Il nero ci circonda, il sole tace, come noi.

La voce che grida non è la mia, è quella delle mie paure, non ascoltarla.

Ossessivo ripeto di alzarti. Non rispondi. Mai. 

Ed è tutto perduto. Perduto. Come la goccia che scorre sul vetro e tu segui col dito, finché si mischia alle altre e non è più lei, non è più lei quella che ora scende, quella che, prima, scorreva lieve e faceva mostra di sé. Ora, nella pioggia che aumenta, mentre il vento batte tra gli occhi, scompare.

Io ho sempre cercato un segno, nelle nuvole, tra le onde, nei disegni del vento sulla sabbia. Non vedo più. Resto qui. Senza luce.

  

domenica 12 dicembre 2021

Lettere da - uno

 



Tutte quelle parole, tutta la voce smarrita dentro, che cerca di uscire, di rivelarsi e dire, raccontare, parlare, gridare, piangere, ribellarsi, ridere, urlare. E invece no, resta dentro, a marcire, a diventare polvere, nemmeno più ricordo, un'eco forse di altri giorni, di quando ti dicevo "ti voglio bene", di quando ti chiedevo "cosa c'è". E ti scrivevo lettere, messaggi, che tu leggevi avido, aspettavi con ansia, per correre poi ad abbracciarmi. O forse è solo un altro errore della memoria, anche questo, come tutto quello che ora porto dentro, speranze deluse, sogni, io e te sul prato, io che ti guardo giocare, io e te che giochiamo insieme, e anche la rabbia, le grida, la voce alterata. Tutto è confuso, tutto è disperso e mischiato in questo tempo che non è più di attesa.

Finito. Tutto. Questo è il sentimento. Non so se puoi capire. Non so se puoi sentire la lacerazione, come la sabbia che passa tra le dita e non c'è più, e quel granello, quello luminoso, speciale, il tuo, è perduto con gli altri. Non serve a niente cercare, scavare, è perduto. Il vento porta via l'ultimo tentativo, il grido, inutile, come tutto il resto. A che vale? A che vale? 

Ma tu mi vedi? Riesci a vedermi? Qui, accanto, senza più voce, né d'amore né di rabbia. Indifferente a tutto, non differente da un sasso, un tronco caduto. Ci sono giorni che mi spaccherei il viso a forza di graffi, che vorrei urlare ai passanti per strada per essere portato via da qui, che non vorrei tornare a casa per non vederti ancora lì, anche tu cosa tra le cose. Ma tu non mi vedi. Tu non ti vedi. E non ascolti.

lunedì 8 novembre 2021

I am aster-dam

 



Città di plastica.

Il vento spazza le vie, scorre l'acqua nei canali, la gente va ignara, aspetta in fila di prendere il suo cestino, un cornetto, un panino. Rifiuti per le strade del centro, il sabato sera uguale in ogni città del mondo. Pruderie e sfacciataggine nel De Walle, ragazze in vendita nelle vetrine. Silenzio lontano dai luoghi dello shopping, solo il vento, il cadere di foglie, l'acqua che scorre, traffico lontano.

Città d'acqua.

Pronta a crollare sulle sue dighe, i suoi battelli, le sue certezze. Le facciate dei palazzi, il finto gotico, le bici, l'odore di fumo tra i giovani svagati, svogliati, la "meglio gioventù" perduta in questo lieve, dolce far niente. E tutto scorre via.

Città di ponti.

Le mille culture che si incontrano, olandesi biondi, asiatici, neri, i turisti inglesi, francesi, spagnoli, italiani, che girano spendendo quel che hanno e quello ce non hanno. E su tutto questo vuoto che assale, l'accidia, l'accidia. E il sole non riscalda.

Città di carta.

Città di turisti e souvenir, alberghi e caffè, dove i giovani cercano lo sballo di una sera, l'erba venduta come libertà, nessun divieto, spacciata come massima apertura all'uomo, ma è solo un altro inganno del decadente Occidente che mostra di se stesso la facciata liberal, non libera, quella del consumo, del denaro, dello sballo.

Il viaggio.

Trovare la ragione del viaggio. In cosa? Padre che accompagna il figlio alla maggiore età, padre-amico, padre-padrone, padre e figlio, senza tempo, senza idee. Do you see me? Mi vedi? I am here. Io che non so parlare inglese, io che mi vergogno del nulla che so dire, yes, thank you, one, this, only this one. Ammutolito tra le vie del centro, tra italiani che parlano di moda e tulipani, fumo e cheese, nei musei dell'orrore e della pazzia, negli sguardi di un altro selfie, un'altra foto ancora, in cui tu non ci sei, non ci sei mai, nemmeno in quest'urlo che resta nello stomaco e brucia, negli occhi chiusi, nel niente di questa città, nel niente di te.


(30 ottobre - 2 novembre 2021)

Father and sons


 

1) Come sono crudeli i figli

che ti tolgono tutto, il sonno

e la risata, l'amore e la passione,

tutto si prendono, la tua carne

e il cuore, mai paghi, sempre affamati,

riconoscenti no, vanno senza parole,

se non quelle che ti lacerano,

quelle della tua impotenza,

del tuo dolore.


2) Quando li senti non più tuoi,

ma figli di qualcun altro, così,

di qualcos'altro, di un amico,

un'idea, una rabbia violenta

che gli fa dire "ti odio", gli fa dire

"hai sbagliato", e tu lo sai,

sì, lo sai, che è così, che hai sbagliato,

tutto, che devi dare un taglio,

che quell'affetto, quell'abbraccio,

la mano, non torneranno più.


3) Ma ci sono poi mai stati?

O era tutto finto, un inganno?

Il mondo. Un abisso.

Devo accettare che i miei figli

non mi amino, devo accettarlo,

il fallimento...


4) Padre, padre, padre.

Lo sapevi tu, padre, questo sentimento

quando mi guardavi,

quando non ti parlavo,

lo sapevi tu, padre, questo squarcio

che non si ricompone, questo orrore

di me con me, questo cupo, cupo

mormorare "padre, padre, padre...".

Padre di chi? Padre di cosa?


5) I giorni passano uguali,

non si placa l'ansia, nemmeno la notte

quando ti alzi a spiare nella stanza,

ascoltare i respiri, i movimenti, a cercare...

Passerà mai? Passerà la morsa,

il tremore da burrasca nei giorni che verranno?

Ne rideremo? Cambierà mai il groppo?

Il cielo è azzurro, il cielo è nero.

Nulla cambia tra i pensieri, nero

di nubi si affolla. Che non diventi quotidiano,

che non diventi la tua vita, che non...

Sento, forte, l'incrinatura del vetro,

ogni giorno, ogni giorno.


6) I ragni nel buio della testa

nell'oscurità del cuore, tessono tele,

senza parole. «Prendi in mano

la TUA vita», gli dico, gli grido...

E intanto prosegue il quotidiano,

il sorriso, l'impegno del fare,

ma fa male, sì fa male male

questo strappo nella carne,

è divisa la mente, un chicco

di grano marcito il cuore.


7) Ma forse no, forse forse sono io,

non sei tu, sono io lo sbaglio,

ma è un oltraggio, lo sai,

quel tuo silenzio, l'umore,

il restare distante, il disamore.

Ma forse, forse sono io, l'errore.


8) Non serve dire che cambia mentre 

scivolo lento nel tremore di non farcela,

la paura per te di domani, la paura

dell'oggi, greve, nera, fatale,

nel timore che mi prende qui, nello stomaco,

che stringe qui, nelle ciglia, le lacrime

che spingono ma non vogliono uscire.


9) Siedo. Accanto. Aspetto, Veglio.

Ma non so se basta, figlio, questo

mio stare, il vagare col pensiero

a te che leggi, ti immergi e non risali,

ti perdi nei tuoi pensieri, assente.

Siedo. Aspetto. Mi perdo.


10) L'odio, l'odio di te per me,

di me per lui, la vergogna,

farsi piccoli, sentirsi inutili con te,

chiuso nella stanza, assente,

distante, mentre passa un altro giorno,

un altro giorno senza...


(marzo 2021) 


venerdì 12 marzo 2021

Apofenia


 

Dietro le nuvole, nella pioggia,

nel soffio di vento che alza le foglie,

quel fiore, lì, ora, l'immagine logica

del tuo non esserci, della linea

storta della mia vita, del senso

di quello che ero per essere oggi,

per questo momento, qui e ora,

tra le pieghe del tempo, nel maglione

che porto, ecco, la parola

che dà significato alla tua assenza,

alla tua presenza, alle domande 

che sbocciano nelle ferite del terreno,

quando rispondo al silenzio,

                                e comprendo perché...

martedì 23 febbraio 2021

Ripensare il sud


 

Trent'anni, sono passati trent'anni da quando ho letto Il pensiero meridiano. La novità espressa dal pensiero di Franco Cassano stava nel ripensare il sud a partire da quelli che gli erano imputati come vizi, a partire dalla lentezza, con l'immagine dello sfogliare il libro anziché guardare solo la copertina, fare attenzione al paesaggio circostante, gli alberi, i fiori, gli animali da non investire. Sono letture su cui torno spesso e da cui prendo sempre spunto per proporre compiti in classe. Ancora ieri ho preso un passo di Cassano (da Modernizzare stanca) e l'ho affidato alle considerazioni dei miei alunni di II liceo.

Negli anno ho incontrato diverse volte Cassano, diventato frequentatore di Benevento e degli incontri organizzati dal mio amico Nicola Sguera, incontri in cui confrontarsi, in cui ascoltare la parola ferma ma pacata di un maestro del pensiero, mai banale. Una di quelle volte lo riaccompagnammo in macchina a Bari, parlando appassionatamente di letteratura e politica. E in seguito l'ho invitato per venire a parlare agli studenti a scuola, a Potenza, ma già combatteva con la malattia ed iniziava a spostarsi di meno. Sempre con garbo, con umiltà, rifiutò l'invito. 

Ho avuto la fortuna di ascoltarlo ancora, ad Aliano, ospite di Franco Arminio e poi, l'ultima volta, l'ho visto qui, a Potenza, credo fosse il 2011, quando venne a presentare L'umiltà del male. Nella dedica lasciatami sul libro a fine serata (dopo aver ricordato i "trascorsi" beneventani) ha lasciato scritto: «A Luca da chi non è certo santo ma vuole sconfiggere i Grandi Inquisitori».

lunedì 15 febbraio 2021

Equilibrio fragile



 17/06/2020

Tappe. Attraversiamo luoghi di cui non ci rendiamo ben conto per arrivare alle tappe della nostra gara. Gli esami in fondo sono questo, tappe della nostra crescita, del nostro stare al mondo fatto di incontri, errori, felicità, lacrime, rabbia... Eppure, anche se ricorderemo vividamente, a volte come un incubo che ci sveglia nelle notti dei nostri trent'anni, dopo che sono passati decenni da quel momento così insignificante nella somma dei giorni della nostra vita, è nelle tappe di avvicinamento che io vedo il senso dei fogli del calendario. Non quelli segnati in rosso, quelli con le scadenze, il compleanno, la rata da pagare, l'esame, ma tutti quelli vuoti in cui sembra quasi che non abbiamo vissuto ed invece è cambiato il mondo. I giorni "prima di", quelli della disperazione perché domani ho l'esame, il colloquio di lavoro, l'incontro con, il primo giorno di scuola. Il giorno in cui abbiamo pianto pensando a domani, col peso del non-detto, del non-fatto, dell'incompiuto. Quelli in cui ripensiamo al viaggio, quando siamo sulla frontiera del nostro arrivo e ci volgiamo indietro. Perché domani, oggi, non ci volteremo più, saremo arrivati e ci guarderemo avanti.


20/06/2020

Equilibrio fragile.

Basta un alito di vento e cado giù.

L'instabile precarietà della mia vita

che non ha trovato terreno solido.

Frano. Lentamente.


06/07/2020

Il declino dell'età, quando tutto non funziona nel tuo corpo: i muscoli, la pelle, il sesso... Ombre alla vista, nelle orecchie il rombo di un sordo dolore.

Degrado. Io degrado. E deperisco. Dentro.


E in disequilibrio scivolo incerto

 


Hai attraversato questo tempo, Luca, pensando che il dolore avesse un termine, che ci fosse un punto da cui ripartire, un momento in cui non la gioia, no, ma la tranquillità sarebbe arrivata, e quel nodo, quel sordo brontolio dell'animo, lo squarcio, si sarebbe ricomposto, finalmente.

Non è così, Luca, non è mai così. Altri dolori (possibile più forti di una morte?), la mancanza di respiro, le lacrime affacciate negli occhi e ricacciate indietro, si fanno strada ad aprire ferite mai sanate, a ricordare il tuo di "vizio assurdo".

Quel ragazzo, caro Luca, in lacrime sul terrazzo ad osservare il morire del sole nel mare, a pensare ad un dolore, ad un incontro impossibile, ad una vita da vivere, è quello che ora, con la vita vissuta, piange nell'alba fredda, chiedendo perché, incapace di risposte.