venerdì 27 gennaio 2017

«In balia di un'invisibile giostra»





Non amo i "giorni di" (degli innamorati, delle donne, della memoria...) perché è come se solo in quei giorni noi dovessimo attenzione all'amore, alle donne, alla memoria, lavandoci la coscienza per gli altri 364 giorni in cui possiamo fare tutto contro, in cui possiamo dimenticare.

La memoria, come un muscolo, va tenuta in esercizio, altrimenti corriamo il rischio di ritrovarci a non sapere più cosa è accaduto nella Germania nazista o nell'Italia fascista, corriamo il rischio di dimenticarci cosa ha significato la Resistenza o perché c'è stata, perché le deportazioni, le uccisioni, il dolore, vivendo in un eterno presente in cui il passato non conta, non esiste.

Il rischio che io percepisco è proprio questo: da un lato quello della dimenticanza, pericolo grave che potrebbe permettere il ritorno (e a volte alcuni eventi lasciano intravedere il bagliore) di quell'orrore passato. Quando l'uomo non è più considerato tale ma merce, oggetto da sfruttare, quando si invoca l'uomo forte al potere o si assiste silenziosi alle violenze perpetrate contro i più deboli, quando si vede venire "un inverno dello spirito" da molti indizi, ci si deve preoccupare e richiamare alla memoria con forza ciò che è accaduto perché non si ripeta di nuovo.

Il pericolo che io vedo è quello di far ricadere tutto in un grande spettacolo. Tutto è uguale, tutto è niente: la morte, gli orrori, la sofferenza. Chi va ad Auschwitz, una volta rimosso il tragico dal proprio orizzonte, la memoria di ciò che è stato, ci si culla in una bolla di falsa positività, senza percepire la dimensione e il senso dello sterminio, né tantomeno come sia potuto accadere. Ci si fa un selfie davanti al cancello, si fa un picnic sull'erba o una foto vicino al palo delle torture con false espressioni di dolore. Tutto è spettacolo, tutto è presente, tutto è divertimento fino a far diventare Auschwitz Austerlitz, perchè il nome (la COSA) non conta più. Conta il qui e ora.

Io mi avvicino a questa giornata da letterato. Attraverso la letteratura, la riflessione, la poesia, la parola cerco di riportare nell'oggi quel passato. Per non dimenticare:

«Mai dimenticherò quella notte, la prima notte nel campo, che ha fatto della mia vita una lunga notte e per sette volte sprangata. 
Mai dimenticherò quel fumo. 
Mai dimenticherò i piccoli volti dei bambini di cui avevo visto i corpi trasformarsi in volute di fumo sotto un cielo muto. 
Mai dimenticherò quelle fiamme che bruciarono per sempre la mia Fede. 
Mai dimenticherò quel silenzio notturno che mi ha tolto per l'eternità il desiderio di vivere. 
Mai dimenticherò quegli istanti che assassinarono il mio Dio e la mia anima, e i miei sogni, che presero il volto del deserto.
Mai dimenticherò tutto ciò, anche se fossi condannato a vivere quanto Dio stesso. Mai» (Elie Wiesel, La notte).

Ma può bastare? Possiamo noi, che viviamo più di 70 anni dopo, comprendere pienamente? Siamo in grado di non trasformare quei luoghi in una sorta di nuovo centro commerciale? Possiamo cioè penetrare veramente l'abisso di abiezione in cui cadde l'uomo per evitare che riaccada? Siamo capaci di evitare l'assuefazione , l'addomesticazione all'orrore? 

Forse l'unico modo è cercare di disinnescare il meccanismo degli "ismi", sfatare la febbre identitaria del NOI e LORO, non innalzare ad idolo una bandiera, saper discernere con la ragione per non vaneggiare. 

«Uomini e donne di tutti i paesi d'Europa si radunano qui su questi alti terrazzamenti di montagna, dove il male aveva il sopravvento sul dolore e sembrava capace di imprimere alla consunzione il marchio dell'eternità. Si radunano qui per poggiare il piede su un luogo sacro dove le ceneri dei loro simili, con muta presenza, segnano nella coscienza dei popoli una tappa incancellabile della storia umana.» (Boris Pahor, Necropoli).

E nel contempo mantenere la capacità di vedere il bello del mondo, non arrendersi all'orrore, coltivare lo sguardo insieme alla memoria.

«Adesso ci sono altri bambini intorno a me; attraverso i vetri picchiettati di rugiada mi appaiono moltiplicati e orlati dai colori dell'arcobaleno; si muovono davanti alle tende; fra poco quelli che non saranno partiti cominceranno a giocare a palla o ad agitare la racchetta del volano. Forse non c'è niente che mi è più caro, nei miei vagabondaggi estivi, del palpito vivace che agita il campeggio la mattina e al crepuscolo, quando ragazzi e ragazze adolescenti si muovono al ritmo di un amore appena presentito. Io continuo a starmene disteso, immobile, perché non so come fare a radunare gli abitanti delle baracche cupe davanti a questi giovani che sono i germogli dell'immortale stirpe umana. E non so come collocare davanti a loro le ossa e le ceneri umiliate. E, nella mia impotenza, non riesco neppure a immaginare come le mie visioni potrebbero trovare le parole giuste per presentarsi a quella banda di bambini che ora stanno saltando fra le tende, o a quella ragazzina che ieri girava attorno al cavo che sostiene il fumaiolo, veloce come in balia di un'invisibile giostra.» (Boris Pahor, Necropoli).

domenica 15 gennaio 2017

Promemoria per giorni di sole





Ricordati del freddo
e dei giorni passati,
- di come è sommerso il fiore
dalla neve, e tu scivoli
nel vizio del dolore, di come
è bianco il cielo e c'è silenzio
e le cose mostrano quiete
la loro disperata solitudine, -
quando c'è il sole,