lunedì 10 ottobre 2022

Il regno profondo. Perché sei qui?

 


Ci sono spettacoli che non bucano il guscio dello spettatore, lo lasciano freddo, insensibile negli occhi e nel cuore. Sarà la scenografia minimale, il tema trattato, il modo in cui gli attori si relazionano, il fatto è che tutto resta insensato, anche fastidioso.

Non è che non siano bravi, anzi. La capacità di usare la voce, di modularla, di essere all'unisono nel dire, nell'agire è un'arte difficile e rara, ma... Ma quella voce resta lontana, la grata di parole non illumina, la proiezione di luce lascia buia la mente, freddi.

Sarà che i temi affrontati non aprono brecce e anche se ti riguardano, anche se io e Dio, identità e religione, senso dell'essere e apparire sono cose con cui ti confronti quasi quotidianamente, qui restano vuote. Vuoto di parole che nel vuoto costruiscono monumenti al vuoto.

Forse è proprio questo il senso? Forse (forse) è proprio nell'insignificanza del nostro chiacchiericcio il senso dello spettacolo; forse (forse) è proprio nelle migliaia di parole che ogni giorno ci attraversano la strada, quelle che diciamo e quelle che ascoltiamo, quelle lette e quelle pensate, il significato nascosto e non colto. Forse (forse) quell'elenco di luoghi e negozi, quelle parole luminose ormai spente, quel dire e quel girare a vuoto da teatro dell'assurdo sono l'essenza di ciò a cui assistiamo. Il nostro nulla.

Ma il cuore resta freddo, distante. Sarà dunque questa insignificanza che provo, la cappa inquietante che sento, questo non senso che vedo davanti agli occhi il senso logico dello spettacolo? Buio.

Divagazioni

Ho un vago ricordo di uno spettacolo della Socìetas Raffaello Sanzio visto al Teatro Nuovo di Napoli sul finire degli anni Ottanta. Mi colpì il rigore di Romeo Castellucci, un rigore freddo, distante. Ho rivisto in seguito due loro spettacoli (sempre nell'ambito del Città 100 scale): a Matera nel 2017, Giulio Cesare. Pezzi staccati e allo Stabile nel 2018 Sul concetto di volto nel Figlio di Dio, spettacoli che invece mi colpirono per la forza visionaria e l'interrogazione al nucleo dell'uomo, politico e religioso, la voce e l'immagine.

Uscito fuori dal teatro penso a tutto questo. Guardo le insegne della latteria, del bar, del supermercato, ascolto pezzi di parole da una conversazione di fianco, mentre passo veloce, vedo uno squarcio di cielo tra i palazzi e mi dico che questa è l'insignificanza, questo non commuoversi più, non riuscire più a vedere la meraviglia delle cose, con il passare dell'età. Tutto uguale, tutto cenere. Alle cose intorno e dentro me non c'è vibrazione nel cuore. Eppure c'è l'ansia del dire, L'ansia del parlare di uno spettacolo, di ogni spettacolo visto, di ogni libro letto, di ogni incontro fatto, anche quando non c'è più niente e tutto tace dentro. Anche allora, nel buio dentro e nel silenzio fuori, dire parole non prostituite.