Primo
La morte da bambino era una preghiera, quella di morire prima dei miei cari, di non vedere il loro funerale. Il pensiero nato alla morte di mio nonno materno, con la notizia arrivata in casa la mattina presto, prima di andare a scuola, e comunicata da mio padre tenendomi sulle ginocchia. La morte prima era distante, era quella degli altri, di chi non conoscevo. Quello fu il primo momento in cui la sentii vicina.
Da ragazzo la morte era il vizio assurdo di Pavese, il dolore della solitudine nei pomeriggi in casa, il sentirsi estranei alla vita e trovarsi in quelle pagine scritte da un fratello più grande. Era il dolore dell'amore impossibile, tenuto nascosto eppure mostrato dagli occhi, erano le lacrime sulle spalle di un amico, era la notte passata a bruciare un giornale per riscaldarsi fuori da un ospedale, ed era un funerale a mia insaputa, con quei fiori portati indietro per l'incontro mancato e lo scavalcare il cancello del cimitero girando impazzito tra tombe sconosciute nella notte, quando solo i lumini erano compagni a parole sconnesse.
La morte da adulto è stata quella nera di chi non ti aspetti, quella di alunni strappati d'improvviso alla vita, quella di cui non sai dare ragione, quando le parole non bastano e mi resta il silenzio, Ed è, ora, di nuovo, quel vizio assurdo che torna, quando i dolori sembrano insopportabili, insormontabili, e il nero ragno dell'angoscia fa la sua casa nella mia testa.
Secondo
Come cambia la prospettiva, il tempo. Quelle lunghe nottate a cullare i miei figli, il sonno perso, la paura di una loro caduta... Come vorrei che tornassero quelle piccole preoccupazioni, quel tempo ignaro di futuro, quel lieve tormento sul loro sonno, su un loro colpo di tosse, sul cibo rifiutato. E oggi? Oggi ho paura a dire una parola, ho vergogna del loro sguardo che non mi vede, del silenzio che ci attraversa e diventa baratro. Ho paura dei miei sentimenti che diventano rabbia impotente, della loro vita senza direzione né senso, del vuoto in cui sono immersi nei loro schermi, vuoto di giochi, vuoto di serie tv, vuoto di social, vuoto.
E così attraverso questo tempo, guardando indietro perché davanti ho solo nebbia, pensando a ciò che eravamo insieme, alle parole, l'amore, i sorrisi, e a ciò che siamo diventati. Persone che vivono sotto lo stesso tetto ma sono estranei, ognuno chiuso nel suo giorno di dolore, nel rimbombo della propria mente in cui ripeto le cose che vorrei dirgli, che vorrei dargli, in cui ripeto le parole che potrebbero svelarli a me. Ma non avviene mai.
Terzo
Se mi fermo sono perduto. I pensieri prendono piede, mi soffocano. C'è solo questo sentimento di fine, ultima fermata prima dell'arrivo. Ma dove poi? Non c'è arrivo, c'è solo il bisogno di occupare le giornate, di non smettere di correre, di fare cose, perché altrimenti non resta che l'amaro, il pianto. Allora corro: a scuola anche quando non dovrei andare, a fare la spesa, fuori. Perché qui c'è un velo, un nero che circonda ogni cosa; perché qui ci sono loro nel letto, nel loro far niente, nei loro schermi. E ci sono io, incapace, vuoto, morto.
Se mi fermo sono perduto. Corro, leggo, parlo. Ma la voce è sempre più debole, svela le mie bugie, il bluff che nascondo. Non potremo più essere felici. E questo dolore, se non corro via, se non occupo il giorno, mi soffoca, porta pensieri bui, quel ragno che fa la tela nella mia testa.
Quattro
La notte mi sveglio sempre tra le 3 e le 4. Gli occhi sbarrati a sentire i rumori nella camera a fianco. Un figlio non dorme e guarda uno schermo. L'altro ancora non è rientrato o sta rientrando. Mi alzo, giro a piedi scalzi nel buio oppressivo della casa. Se parlo ricevo silenzio o offese, prese un giro o grida. Resto in silenzio. Mi siedo. Osservo gli oggetti così vivi di giorno. Ora sono altro, gusci vuoti, inutili orpelli di una vita non più mia.
Torno a letto ma il sonno non arriva, e so che mia moglie vive la mia stessa angoscia, il mio stesso dolore, lo stesso tormento impotente. C'è solo questo che ci avvolge, e non basta più la tenerezza, non basta più tenerci la mano perché ci attraversa lo stesso sentimento che non trova conforto. Dormiamo un sonno disturbato e senza sogni. Di lei ammiro il risveglio che le ridona speranza (non sempre), che le riporta il sorriso, il senso del suo dovere. Io no. Vivo disperato e mi trascino dal giorno alla notte e non vedo segnali, solo quest'andare alla deriva, nel naufragio del mio essere genitore.