«Ecuba esce. Vuoto».
Con queste parole si conclude
Tutto brucia dei
Motus, con l'uscita di scena di
Silvia Calderoni (Ecuba), il buio sempre più fitto che cala sul palco ricoperto di cenere e resti indistinti di cose e corpi, mentre un rumore sempre più forte ferisce le orecchie.
Non c'è luce nello spettacolo, non c'è speranza di un futuro diverso. Tutto brucia. Tutto è vuoto.
Una umanità distorta, disarticolata, metamorfica, animalizzata è quella che c'è stata sulla scena. Donne-animali, donne-burattini spezzate dalla violenza, stuprate, assassinate, bruciate, ridotte a schiave, prostitute, resti di una umanità sepolta e perduta.
Le parole de Le Troiane di Euripide, da cui la drammaturgia dei Motus prende vita, ci sono ancora, ma anch'esse sono brandelli, sommerse dai rumori, dal grido gutturale a cui sono ridotte le parole, latrato, verso stridulo di uccello.
Non c'è luce, se non quella delle torce, il fuoco che ha ridotto tutto in cenere e che continua ad ardere, finché della città non rimarrà più nulla. Resta il canto, qui rappresentato dalla sola R.Y.F. (Francesca Morello), che canta e suona sulla scena, e che, come nell'antico coro greco, rappresenta il punto di vista della collettività rimasta che commenta e che, forse, dovrebbe dare un ordine alle cose. Ma le cose non hanno più senso.
Balenano sciagure. Non solo quelle del presente, ma anche quelle di un livido futuro, come annunciato dalla invasata Cassandra (Stefania Tansini). Le Troiane non portano ordine, non mettono un freno all'orrore della guerra, annunciano invece altre tragedie. Così lo spettacolo. Annuncia mutazioni di queste donne in schiave derelitte (e le annuncia un'Ecuba già non più donna, trasformata in viso da una maschera e nella voce). E le mutazioni non annunciano speranza, visto che saranno animali (Ecuba in cagna), cose (Niobe in roccia).
Tutto brucia. Lo spettacolo, nato durante il momento più feroce della pandemia, rende ragione, attraverso questo rimando, della sua oscurità, se pensiamo all'orrore di quei giorni, i morti, la solitudine, il silenzio. È uno sguardo desolato sull'oggi, sulle cupe vampe della nostra crisi, sulla guerra senza vincitori, solo con vinti.
Il canto limpido di R.Y.F. smette lasciando campo al rumore degli ultimi crolli e al silenzio; i movimenti armoniosi di Stefania Tansini si spezzano nella disarticolazione delle giunture, nei movimenti sincopati, infine nella rigidità della morte; la voce appassionata di Silvia Calderoni diventa grido, metallo lacerante, silenzio.
Fuoco, fumo, rumori. La condanna di una storia fatta di violenza, guerra, orrore. Condanna senza più voce di un presente oscuro.
Tutto brucia. Il futuro? Forse dalla cenere potrà nascere qualcosa di diverso, qualcosa di nuovo e luminoso. Forse.
Visto il 23 settembre 2022 al teatro Stabile di Potenza nell'ambito del Festival Città 100 scale.