venerdì 31 gennaio 2020

Teatro 2019






1. Ho incominciato a frequentare il teatro durante il periodo universitario a Napoli, prima per ragioni di studio, per l'esame di Storia del teatro e dello spettacolo, e poi per passione. Il teatro era il luogo di un rito laico, di un incontro con le parole e con i corpi non più solo immaginati nella lettura dei romanzi, ma vivi, veri. La passione conduceva ad esperimenti con gli amici, in quello che era il CUT (centro universitario teatrale) "La nave dei folli" e in seguito con gli amici di sempre a fare teatro con i ragazzi nelle scuole e tra di noi. Era la vita portata in scena, le passioni, il dolore, le paure e le gioie. Furono anche i tempi del lavoro al Nuovo di Napoli con Angelo Montella prima che la vita mi conducesse altrove. Ho continuato, per qualche tempo, a fare teatro, con i ragazzi nelle scuole, convinto del suo valore educativo, della sua forza, prima di rinchiudermi nella casa totem, rifluito nel privato, nella lettura silenziosa della poesia, nei pensieri solitari. Ho ripreso a seguirlo con il Città delle cento scale festival, ritrovando quella dimensione comunitaria e quella passione dimenticata. Non tutto quello che vedo mi affascina, ma ci sono spettacoli che meritano una meditazione più approfondita, un applauso convinto. Tra questi certamente Otello circus di Antonio Viganò. La scena è un circo scalcagnato (pubblico su panche sulla scena a ricreare l'ambiente circolare del circo) in cui il proprietario, Otello, è costretto a perpetuare, sera dopo sera, il suo efferato delitto. Senza più parole ripete i gesti di folle gelosia senza riuscire a dominarsi. Desdemona è l'equilibrista, piena di vita e di desiderio, come solo i bambini sanno esserlo, vittima sacrificale degli intrighi, delle violenze e della gelosia dei maschi. Cassio è il direttore, acrobata vanesio attento solo a se stesso. Jago, lanciatore di coltelli e domatore, è preda della sua folle violenza e della sua diversa gelosia. E' il teatro allo stato puro, quello dei sentimenti messi in scena senza artifici, nudi nel loro candore e nella loro brutalità che il corpo vivo degli attori trasmette coi gesti semplici di una carezza, una spinta, una corsa frenetica. Tutto accompagnato dalla musica potente di Verdi che esalta i caratteri, accompagna i gesti, chiude nel suo dolore, oramai irredimibile, del muto Otello.


2. Ci sono autori, ci sono libri, letti nell'adolescenza, rimasti per sempre con me, dentro di me. Perché quei libri parlavano di come ero, dicevano la mia vita, il mio sangue, toccavano il lago oscuro del profondo, l'amore e il dolore, e quella inconsapevolezza di chi si sente fremere ma non sa ancora bene per cosa. Uno di questi libri, quello che ho più amato, è stato, è Dialoghi con Leucò di Pavese. Dentro c'era tutto: il mito, il sesso, l'orrore, la morte, la ferinità umana, il divino spaventoso. Trovavo in quei dialoghi quel magma indistinto che sentivo dentro di me, la selva del cuore. Ecco: forse sono andato con tutto questo mondo interiore a vedere i Dialoghi con Leucò messi in scena da Silvia Costa, con l'emozione del ragazzo che ritrova se stesso e la passione intatta per quel mondo, ma non mi sono riconosciuto. Le parole erano le stesse, eppure diverse. Certo, l'acustica (troppo basso il parlottio delle attrici), certo i movimenti di scena che volevano dare vita a quel mondo, Il Mistero, La Belva, L'Uomo-Lupo, Il Diluvio, ma io non vi ho ritrovato la purezza delle mie letture, la speranza, il terrore, l'incontro. A casa, la sera, ho ripreso in mano il libro e mi sono riconciliato con l'autore e con il me ragazzo stuporoso e dolente.


3. Sovraccarichi di informazioni, stimoli, notizie perdiamo la capacità di concentrarci. L'iperconnessione a cui siamo sottoposti ha cambiato il nostro modo di relazionarci con le cose, facendoci smarrire lo stesso pensiero critico. E se saper pensare significa sapere a cosa dare attenzione, il nostro tempo non sa più pensare perché non sa più prestare attenzione alle cose.
Tutto questo è Overload e molto altro. I cinque ragazzi sulla scena danno vita ad uno spettacolo divertente e profondo, in cui comico e amaro si mescolano lasciando gli spettatori (sempre chiamati in causa durante l'azione scenica) dubbiosi su loro stessi e sul loro personale controllo dell'attenzione.
Figli dell'epoca del rumore totale, del dominio dei media, della iperconnessione, ridiamo delle continue interruzioni al Discorso sull'acqua di Foster Wallace da cui ha inizio lo spettacolo, interruzioni che sono il modo con cui noi oggi viviamo i rapporti e la mutazione antropologica in cui tutto è confuso in un mormorio indistinto, rumore di fondo in cui si perdono le parole,