sabato 12 marzo 2016

Diario dei quarant'anni




Insonnia / insania

Da notti insonni, passate a camminare tra le stanze che assumono forme strane, risalgono grumi duri che il tempo non ha sciolto, il viso, i nomi, finanche le parole e quel modo di inclinare il viso che ogni tanto ripeto anch’io.
Ci sono cose nascoste che aspettano quiete di riapparire, quando le difese del giorno vengono meno, nascoste tra le pieghe della notte, tra le onde, le ombre dei mobili d’improvviso diversi.


La cura 

La cura dei figli, dei cari, allontana il passato. E’ il presente che urla, che piange che mi chiede presenza attenta e vigile. Pressante.
Quando riposi, riposo anch’io, quando giochi sono qui.
È questo il tempo che vivo.


Sogni / sonni

Ci sono sogni da cui risalgo con l’affanno, come un naufrago sommerso dalle onde. Annaspo. Parlano di me, delle mie paure, accampano ragioni chiedendo i motivi delle assenze, delle dimenticanze. Risalgo senza fiato alla luce.


Ci sono giorni

Ci sono giorni che ricordo tutto, tutto il sole e quel tremore che accompagnava lo stare con te.
Ma non è solo questo, c’è anche il gesto, lo sfiorare prima della sera, lo sfiorire del viso, e su tutto il tuo sorriso…
Ci sono giorni che piango ma non è dolore, è turbamento mentre aspetto il bagliore che sempre porti con te, l’orrore di una vita che manca, la mano stanca che si abbandona…
Ci sono giorni in cui non ci sei, nel riso, nei gesti, nell’esserci di altri intorno a me, no, non ci sei, disperso il tuo viso, annegato nel sangue dentro me.


Esilio

L’esule nel mondo.
Esulta l’esule di non essere in patria?
Esilio dell’isolato.
Esule, isola nel mondo.

«Sono un’isola nel cuore del mondo, tutto è in me, niente è fuori di me. Cielo e mare i limiti del mio essere…». Ripete l’esule.


Memoria

Strana cosa la memoria. Nello sforzo di ricordare i particolari del viso perdo l’insieme. Ricordo i momenti, ogni momento passato insieme, ma tendo a dimenticare il tuo viso. Ancora provo dolore, lo sai? Una stretta del cuore il tuo nome. La risata cristallina. Gli occhi.
Non ricordo.
Mi sforzo ma non ricordo. A chi mi chiede il tuo nome rispondo cercandolo nei meandri della mente: gli incontri, le telefonate, ma non ricordo il nome.
Mi sforzo di collegarlo alla rubrica della mente, ci giro intorno…
La sera, nel letto, un lampo, il cognome. Lo associo a nomi diversi ma nessuno è il tuo, lo so.
Solo alla fine, sul far della sera, tutto coincide. Ecco, sei tu.


Attimi

Vorrei avere il tempo di vivere tutti gli attimi della vita dei miei figli: tenere Matteo mentre ha la tosse e non riesce a dormire, intanto che seguo Michele nei compiti; leggere un libro a Giulio mentre ascolto una storia di Michele; giocare con Matteo mentre porto in piscina Giulio e Michele.


Perdita

Senso di perdita irrimediabile. Illuse le mani si aggrappano alla memoria. Non regge il peso, tutto cade.


Mancanze

Ho lasciato rami nel transitare, linee spezzate, fogli recisi, lenti passi insensibili al fare che calpestano ignari fiordalisi ai margini di un prato. Nel passare ho guardato solo avanti, la crisi del perdere, l’idea del bruciare tutto anche la cenere dei visi dopo il bivacco. Rimangono fili, accennati da un ago che cuce l’ordito, bianchi, ardenti, sottili come colori sperduti tra luce, come vertigini, rifugi, asili, come la stella che brilla, riluce.


In(d)izi

Mi accorgo da piccoli indizi dei cambiamenti, inizio, forse, nell’imminenza dei miei 40 anni, di una nuova stagione della mia vita, non migliore né peggiore, solo diversa. 
Annoto qui, il diario degli in(d)izi della vita nuova.

Mercato

Pervasività dell’economico, ogni cosa nel segno del mercato. Lo chiamano sviluppo… ma di cosa? 
La tecnica confonde mezzi e fini, passioni tristi dominano cuori. Quale sviluppo senza più parole? 
Imparare: il dono. Imparare: domande. Imparare: gli eventi. Scoprire dell’inutile l’utile.

Pervade i nostri sogni, inebriati
di vino, dalla notte, il sesso eretto
a sollevare il mondo, l'idea
che tutto sia mercato, marcata
la distanza - come un cane - tra utile
e disutile, il cerchio che si chiude
a separare il dono dal profitto
- il prezzo da pagare è troppo alto?
Svenduta la materia del ricordo,
il nostro corpo finanche i nostri
cuori, mancati all'incontro se non scontro,
rabbia, oscenità...
Pervade i nostri sogni di realtà.


Corpo

Il corpo porta i segni degli anni, macchie, cicatrici, ferite, se pure io non sento gli anni è il corpo che ricorda la mia età, mi avverte con un sibilo, un dolore improvviso, è il corpo che mi avvisa dello scorrere del tempo. 


Esserci

Nel sogno piangi, ti abbraccio piano, dico che non è niente; tu, ancora, domandi, parli di mostri che cercano di afferrarti… ti cullo e ti addormenti, tranquillo.

Carne della mia carne,
sangue del mio sangue,
ossa delle mie ossa…


(2007-2008)

domenica 6 marzo 2016

Piccolo canzoniere d'amore (1986 - 2008)





Small Sweet Smile

C'è stato un tempo in cui ho pianto
‑ ancora dura ‑
solo giravo impazzito gridando
«Ah begli occhi, begli occhi».
Tu, piccolo dolce sorriso.

Vennero gli amici e mi derisero.
giunsero i parenti e si fecero beffe
di me. Un tempo sono morto, che non è più...
Tu, piccolo dolce sorriso.

Un vento di giugno mi afferrò
e fece scricchiolare i miei rami,
un vento che lenì il mio dolore,
accarezzò le mie ali...
Tu, piccolo dolce sorriso.



***

Tu sei la sabbia al mattino quando
il sole si sveglia e comincia a scaldarla.
Nessun'orma ti ha calcata, non un passo
ti ha sfiorata. Sei la sabbia nuova
portata dal mare, il vento d'agosto
che sconvolge la riva, la luna
che si specchia serena. Nell'alba ti svegli
stirando il tuo corpo nel sole.
Tu non sai l'angoscia dei giorni,
non le veglie ed i sogni, non conosci
il tormento del mare d'inverno.
Tu sei la sabbia, il fondo calmo del mare.
Al mattino non hai pentimenti.
non conosci l'orrore, sei il riposo la sera,
quando dalle tue profondità inesplorate,
torna a sorridere la vita.



* * *

Il tuo viso è un riflesso nel buio,
bianco sorriso su volto informe,
specchio d'acqua irriflesso.
Tu, così distante da me,
occhi aperti nel buio,
lunghi capelli scendono
nella notte su corpo invisibile.
I miei occhi, specchio morto,
non vedono oltre se stessi,
persi nei cunicoli della mente.
Ma per le mille strade che la compongono,
frammenti riflettono all'infinito
bivi e luci lontane. Imposte chiuse
sul mondo, sola con i tuoi gesti.
E se chiudi gli occhi..
Ecco, vedo il tuo viso riflesso nel buio
‑ medusa. sguardo fatale, notte di abissi.
Luce, fuoco, cecità.
Il tuo viso è un riflesso nel buio.


Quando ci prende la paura...
Disincanto, quando languidamente
si sciolse i capelli nel buio della
stanza e non trovò altro che ombra
di quello che era stata e lo sguardo
che non riconosceva. Labbra tese
nello spasimo inutile, nel grido
che emerse quando smise il canto.



Il dubbio dell
'amant

Oppure no, non è questo che intendevi
quando, cambiando marcia mi hai
sorriso. Non il desiderio ‑ mani
tremanti frenate ‑ ma le dita,
quando tutto era già franato,
anche la vita. Altro non chiedevi
che la salvezza ‑ come in preghiera -
dei ragazzi, tua sola anima vitale,
e di me, tuo arbusto nodale...



Improvviso la notte ai tuoi occhi

Eppure io non capivo il gesto del capo,
- piegandosi piano al raggio di sole
stanco di penombra ammuffita -
che chiedeva ragione di silenzi improvvisi,
di occhi smarriti
che cercavano altri sguardi,
un segno di vita
che a te lentamente mancava
E quando ballavi scomposta
tra alberi erosi dal vento
mentre pioggia inattesa bagnava i tuoi resti,
ancora mi fermavo stupito
- e ridevo.

Parole - che tu non volevi sentire -
il mio unico dono,
oppio che stordiva la mente
di te che gridavi,
che chiedevi la mano di me
- misero arbusto a cui ti attaccavi
mentre il giorno moriva -
che chiedevo la vita.



La tomba

Fu quello, allora il muro 
del silenzio che si strinse attorno
a mormorii indistinti che spregiavano 
la luce.
              Costruire, pietra su pietra,
la tomba di voci che ricoprì di terra
il tuo ricordo che anelava la vita.



Finale

Perduta infine, crollata intera
all'erosione del tempo, se non temi
l'orrore delle lente sparizioni,
o se uno squillo improvvisamente
riporta del telefono leggera
la mente, e quando scomposto tremi,
o se allontani dal centro gli sproni
per tremore di lampadine spente
dopo lunga fedeltà privo il canto
ma nell'intanto ricomposta intatta,
nuova, lì dove meno mi appartieni
se poi a madeleine, unico vanto,
mi appoggio nella memoria sfatta
da tanto abominio, perché non vieni? ...



Passerà un sogno...


Hai perduto un sorriso,
smarrito tra i resti del giorno
nei mozziconi di parole arrese,
disperso tra chiacchiere e realtà.
Ma stamane l’ho trovato
sorpreso di essere vivo, ancora,
nello sguardo smagrito
del respiro acceso da te.

Oppure tornato, come un dono
lasciato alla porta
che bussa piano, senza fragore,
l’eco sereno di te che guardi
lontano, aspettando i miei gesti
sorprendendoti di nuovo
tra le fatiche del sole nell’attesa,
disperata, dell’incontro.



Una tomba

Sì, sì, lo so ma è che, d’improvviso, manchi
a me che cerco le tue ceneri stanche
tra questi visi assassini, anonimi
tra cui giro a vuoto, nella quête,
disperata, di ciò che era…

Sì, sì, lo confesso, non è te, no
non te che ricerco guardando
nomi e lumini tra il caldo che inghiotte
ogni odore, ogni speranza che sia
solo di fresco, la penombra di te,
smarrita, nell’oggi…

Sì, è vero, non il presente
ma nemmeno il ricordo di ieri
che scavo qui tra volti stranieri,
e tutti quei nomi, vite deluse
e speranze mancate – sarai
sempre nei nostri cuori –
solo la parola che vivevo,
la radice del sorriso nascosto
di te a cui ancora anelante
tende la vita perduta…

Sì, sì, d’accordo, passo a passo,
anche se non rispondi e io no
non chiamo, nel vuoto dei pensieri,
il rumore come cancro che rode
il cuore e niente rimane se non
l’errore del dire, mentire ancora
la paura…

Sì, il perdersi (svenire o svanire?)
tra queste tombe dove non ci sei,
ormai perduta, intatta, dentro me.



Tracce

Cerco tracce di te - dalla memoria
torna il tuo viso affilato – parole
gettate sono un guanto di sfida,
il nome affogato nella rete
tra tanti, come l’attimo bloccato
nella camera oscura. Ma tu non sei
lì, non torni vitale in quel luogo
malato, a che serve fare luce,
polvere stagna sotto i poveri
armadi… Ecco: il mare cancella
con un ultimo slancio la traccia
lasciata all’alba sulla spiaggia.



Nel tuo sangue

No, non è te che cerco
tra le pieghe del viso
ma l’io di ieri, nel sorriso
corolla, luce che stilla…

No, non è il tuo sguardo,
è il mio, riflesso, lo specchio
geme, la crepa della maschera
resiste, è un ghigno…

No, non è tuo il dolore
nella pancia, la lama
che sfianca, stride, sono io,
ancora, nel tuo sangue, non tu…



Due variazioni su tema

*

Assale d’improvviso
la tua andatura sghemba
sul ponte, gli occhi nascosti
nel sorriso che si apriva
alla carezza.

È che non ci sei,
non torni nei giorni pigri
perduta tra le chiacchiere
del bar, divorata
nel lento masticare del cuore
                                          … amore.


**
Assale all’improvviso la sghemba
tua andatura sul ponte, incerta
su tacchi a punta lenta col lembo
del vestito, oh, appena aperto.

L’incanto del viso immobile da tempo
ritorna come spina, rosa, tormento.
Assale nell’incerta luce di un empio
giorno, uno stormo spinto dal vento.

Pieni gli occhi del sole nel canto
di primavera ma già la tua sera
s’annuncia nell’ansare del tuo petto,

lo sguardo svagato d’un velo s’ammanta
tarda il tuo passo a raggiungere la vetta
divorato il mio cuore più non spera.



Il tuo viso sfatto di pioggia

Verranno a chiedere qual era il nome,
che cosa portava – col suo motorino –
il postino in quel pacco bagnato,
perché alla porta non aprivo,
che cosa temevo raccolto in quel lago
di tenebra, la stanza, che demone
apparve quando urlavo, cosa gridavo…
Verranno, lo sai, ma non l’ospite,
atteso, il lui-lei non ci sarà,
non sarà alla porta, nemmeno
il suo viso sfatto di pioggia.

venerdì 4 marzo 2016

Secondo manifesto P.A.Z. - Chiudersi e dischiudersi -







Ci sono giorni in cui non ti alzeresti dal letto, in cui l’accidia, un senso di inutilità, l’infinita vanità del tutto vincono sulle energie del fare. Quei giorni in cui hai litigato con tuo marito e piangi silenziosa, o quando al lavoro sei in lotta perenne con capufficio e colleghi, e i tuoi amici sono lontani sulla terra e nei pensieri. Oppure ci sono quei giorni in cui c’è un tempo grigio che invita all’inedia, il dolce far niente sdraiati sul divano, a seguire trasmissioni demenziali alla tv, a fare giochini al computer, ad ascoltare partite alla radio. O ancora quei giorni delle cose da fare, l’obbligo della passeggiata domenicale, l’uscita del sabato sera, la gita fuori porta il martedì. Ci sono giorni in cui vorresti mollare tutto per un dolore sordo nel petto che pulsa e niente lo scaccia e giorni in cui presiede la noia della routine quotidiana (alzarsi, colazione, lavoro, rientro, dormire...), quei giorni in cui avverti uno scricchiolio sempre più forte e vorresti gridare, ma sorridi ad un altro cliente. Sì, ci sono giorni così. E poi ci sono quei giorni in cui ti senti scisso tra desiderio e realtà, in cui cerchi un te stesso diverso, sognando un viaggio in altri luoghi. 
C’è un romanzo di Antonio Tabucchi, Notturno indiano, che parla di una ricerca di senso attraverso la metafora di un viaggio in India alla ricerca di un amico. Il viaggio in India, un’India fatta di camere d’albergo, ristoranti, ospedali, pullman, regala incontri, visioni, dialoghi e la sorpresa che l’amico che si cerca è forse l’altra parte di noi, perduta nei percorsi quotidiani. Inseguire un fantasma (forse noi stessi) per renderlo reale. 
A volte bisogna andare agli antipodi per ritrovarsi. Aprirsi a situazioni nuove, uscire da quei giorni sperimentando un modo nuovo d’essere. Creare ponti con le persone e i luoghi per dare un senso a se stessi e a ciò che si fa. Cambiare se stessi e ciò che ci circonda anche quando ci verrebbe voglia di abdicare da noi stessi e dal mondo per l’ignominia che ci circonda. Creare ponti attraverso l’impegno del fare, partendo dal semplice, dalla pulizia delle erbacce dell’immondizia che soffocano gli spazi per ripulire lo sguardo, e il fiato. 
C’è necessità di “strade di conversione” per iniziare a vivere meglio con meno, evitando il facile ragionamento che “tanto se non inquino io, c’è qualcun altro che lo fa...”. Conversione ecologica, conversione alla convivenza, conversione alla lentezza per attenuare, per attuare... 
«Abbiamo bisogno di occasioni ed opportunità gratuite nella nostra vita, nella vita delle città e delle campagne. Può bastare anche poco: spazi per sedersi senza dover consumare, accesso alla natura, al mare, al verde, senza dover pagare il biglietto, una fontana pubblica con l’acqua buona alla portata di tutti, biciclette del Comune che si possono prendere in prestito e restituire, un mercatino di scambio dell’usato... In una società in cui tutto è diventato merce, e dove chi ha soldi può comperare e stare meglio, occorre la riabilitazione del “gratuito”, di ciò che si può usare ma non comperare» (Alex Langer). 
Educare alla cura di ciò che ci circonda, che ci appartiene. Prendersi cura delle cose semplici, indifese, di luoghi abbandonati che tornano a vivere, ad aprirsi, a respirare, e di quelle importanti (e forse è la stessa cosa), dei figli, della città, senza chiedere nulla in cambio ma solo per la necessaria condivisione di compiti, di azioni fattive per noi stessi. 
Curare il luogo è anche cura dell'altro, proprio lì dove più forte è l'abbandono e lo sconforto, ed è anche curare se stessi, il proprio sguardo liberato, il proprio respiro non più affannato, andando lenti, al ritmo del nostro respiro, fermandosi ogni tanto a guardare il lavoro fatto, godendosi l'aria di novembre, assecondando parole e pensieri. Condividendo. Con chi ti sta accanto e ti racconta i suoi pensieri, i sogni, il passato, il futuro... Con chi non c'è, ma rimane presente nelle parole di chi rimane... Con la tua famiglia, i tuoi amici, la tua città... Per andare a dormire un poco più contento, e svegliarmi «in un sentimento collettivo, in un ardore comune...» (Franco Arminio). 
Con la zappa, le parole, l’azione. 



Secondo manifesto P.A.Z. (dicembre 2012)

Primo manifesto P.A.Z. - macONtereale -


In un'epoca non ben definita, José Arcardio Buendia e sua moglie Ursula Iguaran, insieme a un manipolo di sconsiderati, lasciano il villaggio natale di Riohacha esasperati dalle continue apparizioni del fantasma di Prudencio Aguilar, ucciso proprio da Jose' Arcardio Buendia per aver messo in dubbio le sue capacità sessuali.
Il gruppetto senza una meta precisa vaga per quasi due anni attraverso la Sierra Nevada de Santa Marta. La peregrinazione si ferma solo dopo un sogno fatto da José Arcadio Buendia: era la visione di un villaggio di case azzurre, costruite sulla riva di un fiume. Il manipolo di sconsiderati individua un luogo adatto, si ferma e fonda Macondo, villaggio destinato a conoscere, a fasi alterne, splendore e desolazione, prima di essere spazzato via per sempre da anni di pioggia e di vento.
In tempi molto più recenti, è ancora un fantasma ad agitarsi in altre menti. Menti non meno sconsiderate di quelle del manipolo al seguito di José Arcadio Buendia. Stavolta è il bel fantasma di un luogo, di un luogo dentro una piccola città, metri quadrati sui quali è corsa e si è rincorsa la storia di quella città, metri quadrati che nel tempo hanno visto alternarsi splendore e desolazione. Il bel fantasma del Parco di Montereale di Potenza è alimentato dai ricordi della generazione degli ultraquarentenni e da varie prove fotografiche che testimoniano i momenti di splendore di quel luogo.
Luglio 2012. Il Parco di Montereale è sul bordo pericoloso di una nuova ondata di desolazione, abbandonato ed esposto agli oltraggi dell'incuria e dell'inciviltà.
In questa desolazione si muovono, circolano, giocano bambini e ragazzini sicuramente meno fortunati dei loro genitori che, invece, hanno bene impresso nei loro ricordi il decoro, la dignità e la magia che avevano quelli stessi spazi sui quali oggi si relazionano e crescono i loro figli.
Forse c'è sempre bisogno di un fantasma per smuovere le menti e farne scaturire azioni. C'è sempre bisogno di un fantasma e di un sogno. Di un fantasma, di un sogno e di qualche mente sconsiderata per far nascere qualcosa di nuovo e di diverso. Di diverso non nelle azioni ma nella struttura del pensiero che le genera.
Il pensiero è quello contrapposto a chi si rinchiude nello stabilire una netta demarcazione tra il bene privato e il bene comune, una linea di confine sulla quale spesso si innalzano vere e proprie muraglie.
Il pensiero è quello contrapposto a chi rimane sempre in attesa, aspettando che a fare siano gli altri, rimanendo chiuso nei propri confini.
Il loro pensiero, di chi non sa andare ai propri antipodi, ha due facce: la prima faccia della medaglia è che la tutela degli spazi comuni è sempre di più una faccenda che tocca agli altri, esiste solo il diritto di fruirne e se si arriva sull'orlo della desolazione, magari contribuendo ad aumentarla, è sempre colpa degli altri. L'altra faccia della medaglia è l'attendismo imperante di chi è ben attento a curare i propri legittimi interessi sorvolando sul fatto che sono propri interessi anche tutto ciò che avviene fuori dall'uscio di casa propria.
D'altra parte bisogna avere in dotazione menti notevolmente sconsiderate, con vasti cortili per parlare, grandi finestre sul mondo e sul cielo e porte che fanno circolare aria e persone, se a un certo punto si decide in gruppo di abbandonare i propri rituali più o meno pagani della domenica mattina e dedicarsi a togliere i rifiuti lasciati dai partecipanti agli alcool-party della notte precedente o sotterrare le cacche dei cani degli altri (altri che molto carinamente continuano a lasciarle li' dove i loro cani le depositano) o ad armarsi di zappa, rastrelli, vanghe, carriole e cesoie e inventarsi un'aiuola di essenze aromatiche laddove stagnavano 10 centimetri di acqua putrescente e dove spuntavano ferri pronti ad infilzare la pancia di qualche bambino che in quell'acqua andava a recuperare il pallone che c'era finito dentro. Oppure a sollecitarsi simpaticamente la schiena per ripulire da immondizie decennali e dai rovi, che avevano coperto tutto, spazi che ora hanno tante possibilità di gradevole utilizzo.
Come potevano mai battezzarsi un gruppo di menti sconsiderate se non “P.A.Z. Popolazione Armata di Zappa”? Abbiamo anche scoperto che con una zappa tra le mani si riesce a comunicare e ad aprirsi con molta più facilita' o, come siamo più propensi a credere, il merito della buona riuscita della nostra esperienza è da attribuirsi alla condivisione spontanea di idee, di progetti e di modi di essere. Abbiamo scoperto che c'è anche una gioia nascosta nel vedere a poco a poco l'immaginazione trasformarsi in realtà, nel vedere la fatica ripagata da spazi aperti liberati dall'incuria di anni, nel sentire che l'impegno trova la propria realizzazione nella condivisione di cose e di parole.
E' cosi che le ore armoniose passate a dedicarsi alla cura del parco assumono un'elevata valenza relazionale: tra i P.A.Z. si sono ritrovate persone con alle spalle un passato in comune e altre capitate casualmente nel gruppo ma in tutte risiede una salda unita' di intenti e, se volete, un sogno.
E' universalmente riconosciuto che far nascere (o fondare), far crescere e prendersi cura di qualcuno o di qualcosa, sono azioni di igiene e di sanità mentale: quale cura migliore potevano trovare le menti sconsiderate che si sono imbarcate in questa scommessa, in questo sogno ad occhi aperti? Il nostro è un sogno (una cura) di lentezza che in un mondo superveloce diventa pratica rivoluzionaria. La lentezza delle ore passate alla cura del parco consente di percepire la complessità dei problemi, di relazionarsi pienamente alle cose che ci circondano e soprattutto di dedicarsi con attenzione all'altro, al suo ritmo, al suo respiro, al suo pensiero. Il nostro è un sogno di pausa e di intervallo, contro la fretta dell'arrivare, è un sogno del silenzio, contro le troppe vuote parole che ci circondano, è il sogno utopico della misura e del qui, contro tutti i seguaci dell'oltre, sempre impazienti, sempre di corsa. E' l'esercizio di osservare le cose da un altro punto di vista. Ne cerchiamo altre di menti sconsiderate, sia tra la gente comune che tra le Associazioni, perché di cose da fare, di progetti e di idee ne abbiamo tantissime, ma andrebbero disciplinate e programmate. Di tempo materiale ne abbiamo poco, ma quel poco, quelle ore strappate alla burrasca del quotidiano, al sonno aspettato con ansia della domenica, alle vigilie, alle battaglie, ai riti, al passeggiare diventa un tempo enorme per pensare, parlare, fare, condividere. Per questo chiunque sente di condividere questi pensieri e questo progetto o chiunque pensi di non aver mai dato troppo o anche chi crede di non aver più nulla da dare perché ha già dato abbastanza, ma anche chi crede che tanto non serve a niente o chi pensa che siano solo belle parole ci contatti...è una bella esperienza.






Primo manifesto P.A.Z. scritto da Giovanni Filiani e da me per l'Associazione Amici di Montereale nel settembre 2012.