venerdì 4 marzo 2016

Secondo manifesto P.A.Z. - Chiudersi e dischiudersi -







Ci sono giorni in cui non ti alzeresti dal letto, in cui l’accidia, un senso di inutilità, l’infinita vanità del tutto vincono sulle energie del fare. Quei giorni in cui hai litigato con tuo marito e piangi silenziosa, o quando al lavoro sei in lotta perenne con capufficio e colleghi, e i tuoi amici sono lontani sulla terra e nei pensieri. Oppure ci sono quei giorni in cui c’è un tempo grigio che invita all’inedia, il dolce far niente sdraiati sul divano, a seguire trasmissioni demenziali alla tv, a fare giochini al computer, ad ascoltare partite alla radio. O ancora quei giorni delle cose da fare, l’obbligo della passeggiata domenicale, l’uscita del sabato sera, la gita fuori porta il martedì. Ci sono giorni in cui vorresti mollare tutto per un dolore sordo nel petto che pulsa e niente lo scaccia e giorni in cui presiede la noia della routine quotidiana (alzarsi, colazione, lavoro, rientro, dormire...), quei giorni in cui avverti uno scricchiolio sempre più forte e vorresti gridare, ma sorridi ad un altro cliente. Sì, ci sono giorni così. E poi ci sono quei giorni in cui ti senti scisso tra desiderio e realtà, in cui cerchi un te stesso diverso, sognando un viaggio in altri luoghi. 
C’è un romanzo di Antonio Tabucchi, Notturno indiano, che parla di una ricerca di senso attraverso la metafora di un viaggio in India alla ricerca di un amico. Il viaggio in India, un’India fatta di camere d’albergo, ristoranti, ospedali, pullman, regala incontri, visioni, dialoghi e la sorpresa che l’amico che si cerca è forse l’altra parte di noi, perduta nei percorsi quotidiani. Inseguire un fantasma (forse noi stessi) per renderlo reale. 
A volte bisogna andare agli antipodi per ritrovarsi. Aprirsi a situazioni nuove, uscire da quei giorni sperimentando un modo nuovo d’essere. Creare ponti con le persone e i luoghi per dare un senso a se stessi e a ciò che si fa. Cambiare se stessi e ciò che ci circonda anche quando ci verrebbe voglia di abdicare da noi stessi e dal mondo per l’ignominia che ci circonda. Creare ponti attraverso l’impegno del fare, partendo dal semplice, dalla pulizia delle erbacce dell’immondizia che soffocano gli spazi per ripulire lo sguardo, e il fiato. 
C’è necessità di “strade di conversione” per iniziare a vivere meglio con meno, evitando il facile ragionamento che “tanto se non inquino io, c’è qualcun altro che lo fa...”. Conversione ecologica, conversione alla convivenza, conversione alla lentezza per attenuare, per attuare... 
«Abbiamo bisogno di occasioni ed opportunità gratuite nella nostra vita, nella vita delle città e delle campagne. Può bastare anche poco: spazi per sedersi senza dover consumare, accesso alla natura, al mare, al verde, senza dover pagare il biglietto, una fontana pubblica con l’acqua buona alla portata di tutti, biciclette del Comune che si possono prendere in prestito e restituire, un mercatino di scambio dell’usato... In una società in cui tutto è diventato merce, e dove chi ha soldi può comperare e stare meglio, occorre la riabilitazione del “gratuito”, di ciò che si può usare ma non comperare» (Alex Langer). 
Educare alla cura di ciò che ci circonda, che ci appartiene. Prendersi cura delle cose semplici, indifese, di luoghi abbandonati che tornano a vivere, ad aprirsi, a respirare, e di quelle importanti (e forse è la stessa cosa), dei figli, della città, senza chiedere nulla in cambio ma solo per la necessaria condivisione di compiti, di azioni fattive per noi stessi. 
Curare il luogo è anche cura dell'altro, proprio lì dove più forte è l'abbandono e lo sconforto, ed è anche curare se stessi, il proprio sguardo liberato, il proprio respiro non più affannato, andando lenti, al ritmo del nostro respiro, fermandosi ogni tanto a guardare il lavoro fatto, godendosi l'aria di novembre, assecondando parole e pensieri. Condividendo. Con chi ti sta accanto e ti racconta i suoi pensieri, i sogni, il passato, il futuro... Con chi non c'è, ma rimane presente nelle parole di chi rimane... Con la tua famiglia, i tuoi amici, la tua città... Per andare a dormire un poco più contento, e svegliarmi «in un sentimento collettivo, in un ardore comune...» (Franco Arminio). 
Con la zappa, le parole, l’azione. 



Secondo manifesto P.A.Z. (dicembre 2012)

Nessun commento:

Posta un commento