lunedì 30 marzo 2020

Diario ai tempi del Coronavirus (29 marzo - 2 aprile)




29.03.2020

Al di là della nebbia c'è il sole



h. 9:00

Capita spesso di sentire notizie di disastri e di morti: la guerra, la povertà, i terremoti in parti del mondo lontane. Ma solo quando ci toccano da vicino, quando sono qui, presenti, quei morti, ce ne accorgiamo. Leggo che abbiamo superato la soglia di 10.000 morti. E' un numero enorme, inimmaginabile. Riusciremo ad essere diversi, a sentire empatia per il mondo, a non dimenticare gli aiuti arrivati da Cina, Cuba, Albania?



h. 13:00

Oltre a tutto il resto ci si è messo anche il cambiamento di orario a fare di questa domenica un giorno falsato, fasullo, uguale a ieri nella quotidianità della casa (contatti con colleghi, alunni, cucina, parole...).

h. 15:00
Al di là della nebbia c'è il sole.

Mi resta nella mente questo endecasillabo, ultimo bagliore della mattina di ieri, quando sono andato in garage a prendere la salsa per la settimana. Ecco. Di tutto quello che faccio in questi giorni mi restano frammenti di paesaggio, una parola ascoltata, una musica, un viso che scompare.

h. 20:30
Cos'è che ci definisce in questi giorni, che svela il nostro "essere uomini" (la nostra essenza per dirla con Heidegger)?
Non so rispondere. Forse non c'è la risposta. O meglio, la risposta sta nella domanda stessa, nell'interrogarci, nell'inquietudine che ci coglie, nel sentimento di vicinanza anche nella lontananza, nel percorso che compiamo per cercare, domani, di essere migliori.

h. 21.40
Al di là della nebbia, oltre quella frattura 
in cui tutto sembra scomparire, c'è il sole


30.03.2020 h. 19.54

La preoccupazione sta nella difficoltà che proverò, che proveranno i miei figli nel tornare alla normalità. Più passa il tempo e più mi sembra difficile una ripresa tranquilla, naturale, normale. Troppo tempo connessi, troppo tempo in videochiamate. Questo tempo che doveva essere "liberato" (dalla fretta, dal consumo, dedicato a noi stessi e alla nostra interiorità), si è trasformato invece in tempo "consumato" (dalla paura, dalla noia, dalla iperconnessione). Nulla è cambiato nelle nostre vite se perpetuiamo (nel chiuso della casa) quello che facevamo fuori, nel tempo libero delle nostre giornate, nel tempo libero dal lavoro ma legato a filo doppio al consumo e alla produzione.


Mi resta però ancora una canzone, per sognare un'altra libertà.






31.03.2020 h. 23:17

Provo altre modalità di incontro con gli alunni. Vicinitudini è una di queste, un racconto, un ascolto, un sorriso, tra musica, immagini e parole. Tra Schopenhauer e De Gregori, ebraismo e Dylan Thomas, Alda Merini e Astor Piazzolla, skateboard, quadri, panorami, Joe Cocker, cibi, Lou Reed, Ludovico Einaudi e Psychedeluc Furs passiamo un'ora raccontandoci questi giorni. Nell'attesa di incontrarci.



01.03.2020 h. 10:45


Sono uscito oggi dopo 4 giorni. Mi piace camminare sulla neve e vista la giornata ne ho approfittato per andare a fare la spesa. Quello che non pensavo di trovare era la tanta gente per strada. Intendiamoci, non una folla ma tantissime persone (dai 40 ai 70 anni) lungo via Pretoria, come se tutto fosse finito.
Io non so se sia finito, penso sia necessario un ultimo sforzo per evitare che la conta dei contagiati e dei morti salga, per evitare che lo sforzo prodotto fino ad oggi non sia servito a niente.
C'è un'altra ipotesi, certo: che tutta quella gente fosse uscita proprio in quel momento come me, per la spesa, la spazzatura, la neve.

h. 20:15
Oggi Vicinitudini è stato molto empatico. Non so se sia accaduto perché io ho letto un vecchio scritto che parlava di mio padre (oggi avrebbe compiuto 99 anni) o perché era diversa l'atmosfera, ma c'è stata una connessione, una sensibilità, una emozione diversa da ieri. Tutti hanno raccontato cose molto forti mettendo a nudo se stessi e la commozione è stata palese in tutti (anche in me). E' bello questo modo di incontrarci, ricrea connessioni che superano le paure e le distanze, che ci raccontano anche più di quanto accade a scuola. Forse la quarantena ha abbassato le difese, siamo più pronti all'incontro, alla vicinanza di chi sentiamo simile a noi nei sentimenti. Ma guardare i loro visi, anche nelle lacrime, mi dà grande gioia.




02.04.2020

20:45
Oggi niente da scrivere, niente da condividere, niente da raccontare. Le notizie che arrivano annullano tutto. Solo quello scritto di getto su facebook, senza nemmeno poterne parlare con un amico, con chi l'ha conosciuto bene, ma tenere tutto per sé, o gridarlo in quella piazza virtuale che sono i social. 

Non ho altro: "E che dire quando senti certe notizie, quando la morte ti passa accanto a prendere un amico, un uomo che ha messo sempre la faccia in tutto ciò che ha fatto, portando avanti la sua idea di Potenza solidale, pulita, onesta... E non sono più numeri, sono volti, sono sorrisi che scompaiono. E non puoi dire nulla. Ciao Astronik".


(Testi pubblicati, con modifiche, su Cronache di una pandemia, in Totem magazinehttps://www.totemmagazine.it/)

sabato 28 marzo 2020

Diario ai tempi del Coronavirus (24-28 marzo)



24.03.2020 h. 15:26

Sono giunto ad un accordo con mia moglie: se lei non può uscire in mattinata per fare la spesa a causa delle videolezioni, uscirò io. È inutile preoccuparsi per me, d’altra parte anche se il virus dovesse contagiare lei non ci sarebbe differenza, lo porterebbe a casa.

Le persone fanno maggiore attenzione per strada. Me ne accorgo quando scendo a fare la spesa alle 12:30. Poche persone per via Pretoria (avrò visto al massimo 10 persone) e tutte che camminano con gli occhi bassi e le mascherine. Si evita qualunque tipo di contatto, anche quello visivo. Se qualcuno si incrocia tende a mettere il maggiore spazio possibile tra sé e l’altro addossandosi al muro opposto. Le distanze che si tengono con chi ci sta davanti sono di almeno 5 metri. Il pericoloso, l’altro, il diverso, lo straniero è chi non appartiene allo stretto nucleo familiare, quello con cui conviviamo quasi 24 ore al giorno. Solo nella tana-casa c’è sicurezza, il fuori è un mare tempestoso e spaventoso dove andare solo per stretta necessità e per il minor tempo possibile. La paura crea distanze fino a ieri inimmaginabili, facendo mutare anche il nostro atteggiamento sociale, i nostri comportamenti più semplici.

Quando tutto sarà finito, perché finirà, si dovranno ricreare situazioni, si dovranno superare i timori che queste settimane hanno creato, una sorta di nuova educazione all’incontro. Si farà fatica a darsi la mano, a toccarsi. Come bambini dovremo reimparare a fidarci, a buttarci all’indietro tra le braccia di un genitore.


25.03.2020 h. 20:15

Le parole che ci scambiamo con gli alunni sono indicative di un sentimento comune di frustrazione e anche di una certa stanchezza di questi giorni tutti uguali passati in casa: marcire sul letto; sentire le carni che si decompongono… Anche per questo ho proposto ad alcuni di loro un esperimento sociale. A gruppi d 4/5 vedersi in serata per condividere immagini (foto, quadri), musica (suonando uno strumento o mettendo su una musica), parole (da libri o proprie). Un racconto per frammenti della propria vita, dei propri interessi, dei sogni e delle paure. Per un’ora a settimana rompere il muro del silenzio e della solitudine. Ho pensato anche al nome: Vicinitudini, che ha insieme l’idea dell’essere vicino ma anche delle solitudini e, perché no, delle vicessitudini della nostra vita che proviamo a raccontare.


26.03.2020 h. 23.59

La neve di ieri ha lasciato il posto ad una pioggia continua, triste, che segna l'animo. 
Ho passato tutto il giorno al computer e sento la stanchezza negli occhi, nelle braccia, nella testa. Tutto è silenzio. Ma non è un cambiamento rispetto al mattino o al pomeriggio, rispetto a ieri. Tutto è silenzio. 
Ripenso a come aspettavo la neve da ragazzo e, ancora, ai giorni di neve qui, le passeggiate a Montereale, le palle di neve coi ragazzi. Fuori intanto ha smesso di piovere. Abbaiano cani nella notte.





27.03.2020 h. 23.05

La quarantena obbligata ha lati positivi e lati negativi. 
Ci sono esplosioni improvvise di rabbia, risposte date di cui pentirsi immediatamente. Passiamo troppo tempo con i dispositivi elettronici, me ne rendo conto, soprattutto per scuola. Ci sono però anche aspetti piacevoli: inviti al pensiero con vecchi amici; chiacchierate in video con chi non sentivi da tempo; testimonianze da un tempo passato e abbandonato. 
La memoria si deteriora, spesso si dimentica ciò che è stato (anche naturalmente visto che la vita va avanti). Allora questi giorni sono una lezione sull'attenzione, attenzione proprio sulla memoria che, per quanto insufficiente, ci servirà per ricordare quel che è stato. Attenzione alle cose piccole e insignificanti che ci circondano. Attenzione a chi ci è accanto. Ritroviamo parole, oggetti, libri abbandonati.
E così riscopriamo anche vecchi giochi: Scarabeo, Master Mind. E vecchi oggetti non più usati come una caffettiera napoletana con cui riassaporare un caffè di altri tempi.
Le piccole gioie di questi giorni bui.



28.03.2020 h. 15:54

Su che cosa mi interpellano le parole del Papa ascoltate ieri, da me senza fede alcuna, persa nei miei vent'anni e mai più ritrovata. In cosa colpiscono l'animo? C'è qualcosa in quel discorso che mi chiama e mi inquieta (e da lì forse conducono al disvelamento, all'αποφαινεσθαι):

"Fitte tenebre si sono addensate sulle nostre piazze, strade e città; si sono impadronite delle nostre vite [...]. Ci siamo trovati impauriti e smarriti. [...], tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, [...] tutti bisognosi di confortarci a vicenda. [...] La tempesta smaschera la nostra vulnerabilità e lascia scoperte quelle false e superflue sicurezze con cui abbiamo costruito le nostre agende, i nostri progetti, le nostre abitudini e priorità. [...] In questo nostro mondo, [...] siamo andati avanti a tutta velocità, sentendoci forti e capaci in tutto. Avidi di guadagno, ci siamo lasciati assorbire dalle cose e frastornare dalla fretta. Non ci siamo fermati [...], non ci siamo ridestati di fronte a guerre e ingiustizie planetarie, non abbiamo ascoltato il grido dei poveri, e del nostro pianeta gravemente malato. Abbiamo proseguito imperterriti, pensando di rimanere sempre sani in un mondo malato ".

La nostra vita fatta di corsa, guadagno, superiorità, vittoria, maschera, imbellettamento. Ed ora, senza punti di riferimento, senza più quelle abitudini confortanti delle nostre vite, smarriti, perduti. E il mondo va avanti nel suo ciclo naturale, con la pioggia e la neve, gli alberi e la nebbia, il sole ed il vento. Senza preoccuparsi di noi, anzi forse un po' più pulito. E forse sarà proprio da questo nostro smarrimento, da questo perderci, dalla via interrotta del progresso che potremo ripartire. 
Più lentamente, col sentimento della vicinanza e del conforto.


(Testi pubblicati, con modifiche, su Cronache di una pandemia, in Totem magazinehttps://www.totemmagazine.it/)

Diario ai tempi del Coronavirus (18-23 marzo)






18.03.2020 h.19:27

Messaggi

Gli amici mi scrivono, ci vediamo sulle piattaforme video, al telefono. È l’altro lato della medaglia del Covid-19. In mezzo a tutto questo dolore, questa preoccupazione che ci coglie a volte fino a toglierci il fiato, arrivano messaggi in bottiglia, parole di affetto e di conforto. 
A tutti coloro con cui mi sento in chat rispondo grato. Viviamo tutti come sospesi in questi giorni, aspettando il peggio e sperando non arrivi mai. La Basilicata che sembrava ancora un'oasi di pace, non lo è più. Sta arrivando la tempesta? 
So come ti senti. So come ci sentiamo tutti. Leggo i messaggi. Ti sento vicina. Vi sento vicini. 
Sono tempi strani, giorni tempestosi di pensieri assurdi con la necessità di tenere la rotta. E per farlo sono importanti questi audio, questi messaggi, il viso, la voce. 
Intanto sopravviviamo al nostro malcontento, allo sgomento e alle rabbie (e dolori) improvvisi. Con chi mi vedo in video o sento (anche quotidianamente) al telefono si può scherzare, si esorcizza la paura con battute, e risate. 
Ma non è solo per dire che ripeto a tutti, a tutti, che torneremo presto ad abbracciarciTi abbraccio forte, mia cara.


20.03.2020 h. 21:20

Oggi niente. Nessun pensiero. Nessun nome. Nessuna lettura interessante. Nessuna canzone. Ci sono giorni così, anonimi, come ce ne sono tanti. E invece c’è tanto in questo giorno: ci sono le crepe nei rapporti familiari, le arrabbiature e le incomprensioni, C’è il tanto tempo passato a computer o cellulare a fare lezione, parlare coi colleghi, correggere i testi degli alunni, rispondere alle richieste, preparare video, cercare su internet materiali… E’ la didattica a distanza, baby.

La scuola. Questo tempo straordinario ci ha spinto a comportarci in modo “ordinario”, mantenendo i contatti, restando punti di riferimento, gioendo nel rivedere i volti degli alunni, affidando loro anche un testo da scrivere, una riflessione da fare. Ma tutto questo non sostituisce il contatto dell’aula, la presenza fisica dei corpi nello spazio stretto della scuola.
Ma siamo in tempi straordinari. 

Tornerà anche il tempo dell’aula e forse, chissà, rimpiangeremo questi giorni di “libertà” dagli impegni orari, rimpiangeremo il tempo vuoto della mattina. Io no. Questi giorni sono una pausa. Una pausa dall’incontro, come quando, da ragazzi, si scriveva all’amata lontana dicendo 

“non vedo l’ora di rivederti”



21.03.2020 h. 7:50

Nell’abbraccio mancato

Qui, in casa, negli schermi
di computer e telefoni alla ricerca
di un senso, una parola
che dia significato,
occhi negli occhi, sorrisi,
sguardi assonnati, cercare,
cercare ancora e ancora, senza sosta
l'ordinario nel tempo straordinario
della quarantena, perché la luce,
sì, la luce, è qui, tra queste
ombre, nascosta eppure visibile,
lontana, oltre i giorni che mancano,
ma vicina, nell'abbraccio mancato,
nelle parole taciute e che pensiamo,
tutti, insieme, e che forse non diremo,
no, neppure domani,
quando ci incontreremo.

h. 12:48



Ho scritto questa poesia di getto, e casualmente proprio nella Giornata mondiale della poesia che si celebra dal 1999 proprio in coincidenza con l’inizio della primavera. Anche in questa piagata primavera ho sentito il bisogno del verso, della parola, umile fiammella di speranza nel buio dei giorni. 



Oggi sono uscito. Ho convinto mia moglie, che era impegnata, che potevo uscire io a buttare la spazzatura ma poi, per evitare che uscisse lei più tardi per fare la spesa, mi sono allungato in via Pretoria per comprare pane e mozzarelle. 



Noto che all’esterno ci sono soprattutto anziani (quelli a cui è più consigliato di rimanere in casa). Immagino che per alcuni di loro sia una necessità assoluta uscire, per la spesa, lo stipendio, servizi improrogabili. Alla latteria parlo dalla distanza con un gentile signore: commentiamo questi giorni, mi dice che alle poste fanno entrare due persone per volta con due soli sportelli aperti (e io immagino la fila, oggi, per chi deve ritirare lo stipendio). Aspetto il mio turno paziente, d’altra parte cosa ho da fare di così urgente? Si entra uno alla volta anche se sulla porta c’è scritto che si può entrare in due (ma perché io dovrei spezzare la prudenza avuta dagli avventori che mi hanno preceduto?). 

Tornando ascolto i commenti di tre persone affacciate alla finestra. Una si lamenta di quanto ha dovuto pagare 3 mascherine (60 €), maledicendo i commercianti. Le dicono di denunciare e che è una vergogna. Sono tempi ben tristi se si lucra sulle paure e sulle sofferenze altrui. 

A casa sono tutti impegnati con incontri o compiti da consegnare. Non c’è più la percezione che oggi è sabato. Ogni giorno è uguale all’altro, tutti si susseguono con lo stesso andamento. Non c’è l’uscita serale con gli amici, non c’è il locale, il cinema, la gita. Oggi è come ieri e come sarà domani. 

Ma la luce, anche se oggi non la vediamo ancora, c’è. Lontana, forse, sommersa dal buio della paura, della conta dei contagiati, dei morti, ma c’è. E quell’abbraccio promesso e oggi mancato ci sarà, lo so, e sarà più bello.



22.03.2020 h. 18:31

Pensieri sparsi di una domenica di marzo passata a leggere dati, notizie, testi latini, fumetti; a scambiare parole dalla distanza con alunni e colleghi, parole da vicino con figli e moglie.

Sono un uomo e tutto ciò che è umano mi riguarda”.

La pandemia ci costringe a ripensare alla vita e alla morte, alle scelte, al passato e al futuro non solo nostro, piccolo e individuale futuro, ma a quello di tutti gli uomini.

Lei ha torto, signora; ha torto assolutamente. Riconosco che non lo avevo considerato, che non ci avevo neanche pensato, ma so con esattezza quello che lei sente, e non c'è niente nel modo più assoluto che suo figlio sente per mia figlia e che io non abbia provato per Christina. Vecchio? Sì. Avvizzito? Sicuro. Però vi dico che i miei ricordi ci sono tutti, chiari, intatti, indistruttibili, e così rimarranno dovessi campare cent'anni

L’intervento di Conte di ieri sera ci ha colto mentre stavamo guardando Indovina chi viene a cena?, il film di Stanley Kramer, interrompendo il discorso finale di Matt Drayton. Siamo rimasti ammutoliti.

Stesso desiderio di morire poi rivivere

La giornata era cominciata con le canzoni di Battisti in testa sin dal risveglio: Vento nel ventoI giardini di marzoAncora tuUna donna per amicoEmozioni… l’intera colonna sonora della mia giovinezza rispuntata chissà come nei sogni della notte. Stamattina invece silenzio.

Le menzogne della notte

Ogni notte mi sveglio. Due, tre volte a notte. Alle 2, alle 4, alle 5. Faccio un giro per casa. Controllo che tutto sia a posto. Che gli oggetti siano dove li ho lasciati la sera prima, che tutto abbia il suo luogo tranquillo, i figli nel letto, le stoviglie riordinate, i libri nelle mensole. Durante il giorno poi ci sarà disordine tra fogli sparsi, libri su ogni scrivania, caricatori di telefono, computer, ma di notte, nel silenzio della casa, ogni cosa deve essere in ordine, come se fossero gli oggetti a pensarmi (a sognarmi?), ad avere sentimenti.

Ho corso su e giù per ogni parquet dietro ad ogni palla persa per te. Hai chiesto il mio impegno ti ho dato il mio cuore perché c'era tanto altro dietro

Dieci anni di basket. Dai Lions all’Invicta alla Timber. A questo penso mettendo a posto le tante maglie da gioco di Michele. Ma questa è un’altra storia.


Il selvatico che c’interessa non è la natura il mare la selva ma l’imprevisto nel cuore dei nostri compagni uomini


23.03.2020 h. 19.41

Michele

Stamattina ho fatto una corsa sotto casa con Michele. Me lo aveva chiesto da alcuni giorni perché, oltre alla breve uscita al supermercato, non era più uscito in questi 13 giorni. Così alle 6:30 l’ho svegliato e poi alle 7:20 siamo scesi. Il percorso fatto è stato intorno al parco di Montereale (io 2 giri, lui credo 15), e mentre io stremato lo aspettavo sotto casa, lui è tornato come rinato alle 8:00. Piccoli gesti quotidiani tra di noi creano vicinanze dimenticate, discussioni pacate su letteratura, vita, paure.

Poi si riprende: lezioni (oggi la piattaforma ha dato qualche problema di connessione), contatti coi colleghi, correzione testi, chiacchierate affettuose, in cui l’abbraccio è sostituito dalle parole, lievi come carezze.

Ritorno a Michele, al basket. Dieci anni fa mia moglie lo portò in palestra a Montereale, dove si allenavano i Lions di Peppino Di Camillo. Da lì è nato per lui un amore profondo per questo sport, con ricordi credo indelebili (almeno per me): le partite nei campionati regionali, il Trofeo delle Regioni nella rappresentativa 2002 a Bologna, i tornei in Molise, a Roma, in Calabria, alla Vito Lepore, i campionati di Eccellenza con l’Invicta con le lunghe trasferte, quest’ultimo campionato con la Timberwolves, gli allenamenti – 4 volte a settimana -, gli amici del basket, compagni da sempre, le lacrime e la gioia, tutto un mondo di emozioni. Sono un po’ triste pensando che l’anno prossimo, con l’Università, tutto questo non ci sarà più (e credo mancherà anche a lui, come gli sta mancando in questo tempo di sosta forzata). Ci sono però i ricordi, e quelli non glie li toglierà nessuno.
L’ho seguito ai margini, sugli spalti, di lato. Spesso parlandone, spronandolo o ammonendolo, scrivendogli, perché da sempre ho scritto, da quando ne ho memoria. Per ora non ne parliamo, non è un argomento che rientra (e non potrebbe essere diversamente) nei nostri discorsi. Ma so che verrà il momento in cui ne vorrà parlare, si vorrà confrontare. Ed io sarò là, ad aspettarlo, ad ascoltarlo.


(Testi pubblicati, con modifiche, su Cronache di una pandemia, in Totem magazinehttps://www.totemmagazine.it/)

martedì 24 marzo 2020

Michele (dal Diario ai tempi del Coronavirus)





23.03.2020 h. 19.41


Michele


Stamattina ho fatto una corsa sotto casa con Michele. Me lo aveva chiesto da alcuni giorni perché, oltre alla breve uscita al supermercato, non era più uscito in questi 13 giorni. Così alle 6:30 l’ho svegliato e poi alle 7:20 siamo scesi. Il percorso fatto è stato intorno al parco di Montereale (io 2 giri, lui credo 15), e mentre io stremato lo aspettavo sotto casa, lui è tornato come rinato alle 8:00. Piccoli gesti quotidiani tra di noi creano vicinanze dimenticate, discussioni pacate su letteratura, vita, paure.

Poi si riprende: lezioni (oggi la piattaforma ha dato qualche problema di connessione), contatti coi colleghi, correzione testi, chiacchierate affettuose, in cui l’abbraccio è sostituito dalle parole, lievi come carezze.

Ritorno a Michele, al basket. Dieci anni fa mia moglie lo portò in palestra a Montereale, dove si allenavano i Lions di Peppino Di Camillo. Da lì è nato per lui un amore profondo per questo sport, con ricordi credo indelebili (almeno per me): le partite nei campionati regionali, il Trofeo delle Regioni nella rappresentativa 2002 a Bologna, i tornei in Molise, a Roma, in Calabria, alla Vito Lepore, i campionati di Eccellenza con l’Invicta con le lunghe trasferte, quest’ultimo campionato con la Timberwolves, gli allenamenti – 4 volte a settimana -, gli amici del basket, compagni da sempre, le lacrime e la gioia, tutto un mondo di emozioni. Sono un po’ triste pensando che l’anno prossimo, con l’Università, tutto questo non ci sarà più (e credo mancherà anche a lui, come gli sta mancando in questo tempo di sosta forzata). Ci sono però i ricordi, e quelli non glie li toglierà nessuno.

L’ho seguito ai margini, sugli spalti, di lato. Spesso parlandone, spronandolo o ammonendolo, scrivendogli, perché da sempre ho scritto, da quando ne ho memoria. Per ora non ne parliamo, non è un argomento che rientra (e non potrebbe essere diversamente) nei nostri discorsi. Ma so che verrà il momento in cui ne vorrà parlare, si vorrà confrontare. Ed io sarò là, ad aspettarlo, ad ascoltarlo.

sabato 21 marzo 2020

Nell'abbraccio mancato






Qui, in casa, negli schermi
di computer e telefoni alla ricerca 
di un senso, una parola 
che dia significato,
occhi negli occhi, sorrisi,
sguardi assonnati, cercare,
cercare ancora e ancora, senza sosta
l'ordinario nel tempo straordinario
della quarantena, perché la luce,
sì, la luce, è qui, tra queste
ombre, nascosta eppure visibile,
lontana, oltre i giorni che mancano,
ma vicina, nell'abbraccio mancato,
nelle parole taciute e che pensiamo,
tutti, insieme, e che forse non diremo, 
no, neppure domani, 
quando ci incontreremo.



(Scritta al tempo della pandemia da Coronavirus nella Giornata mondiale della poesia) 

mercoledì 18 marzo 2020

Diario ai tempi del coronavirus (11-17 marzo)





11.3.2020 h. 19.52



Sono giorni strani in cui ho in mente tre parole: cura, sacrificio, responsabilità

Cerco di trasmetterle ai miei figli, ai miei alunni, perché forse questo resterà quando tutta sarà finito. La cura l'uno dell'altro, il sacro nel sacrificio, la responsabilità delle azioni. Intanto lavoro per mantenere i contatti con i miei alunni, per fargli sentire che sono qua, che mi pre-occupo di loro: videoincontri, registrazioni, chat. 

Non conto più le ore passate al computer, la mia finestra sul mondo. 

Quando tutto sarà finito vorrò solo stringere mani, guardare occhi.





12.3.2020 h. 21.30



È una lotta continua, in famiglia, con mio figlio Michele. Cerco di spiegargli la necessità della cura e del sacrificio (sulla responsabilità non parlo), ma sembra che gli importi poco. Dice che ha bisogno di uscire, che altrimenti gli viene la depressione, che deve fare una passeggiata da solo, prendere aria. Gli dico di uscire sul balcone a prendere aria e pensare ai rischi, non suoi, ma che può arrecare ad altri. 

È una lotta in cui non c'è vincitore e non c'è vinto, perché ognuno resta della sua idea, perché ognuno abbandona il dialogo per affermare la propria autorità, perché ognuno resta male, io perché non sono riuscito a fargli comprendere le mie ragioni, lui perché ritiene che io non abbia capito le sue motivazioni.

Mi addolora vederlo perdere tempo, passare le ore a non fare niente se non chattare con i compagni, poco tempo sui libri, mi addolora e mi scoraggia la sua scarsa attenzione alle parole che dico.



13.3.2020 h. 8.05

Esco per buttare la spazzatura e fare la spesa. A giorni alterni ci dividiamo i compiti con mia moglie. La città è vuota, i negozi sono chiusi. Pochi passanti che come me vanno veloci evitando la vicinanza e che, come me, hanno uno scopo chiaro (salute, lavoro, necessità). Qualche macchina, un pullman vuoto.
A me non dispiace la città vuota, il silenzio che costringe a fare attenzione, a pensare (è maggiore il rumore a casa tra video incontri miei o di mia moglie, lezioni, musica e chat dei ragazzi, televisione o radio, non c'è tempo per il silenzio). Mi porta a pensare ad agosto, quando la città si svuota e i negozi sono chiusi e si può camminare senza i fumi delle auto e il rumore delle attività. Ci sono solo le molte macchine parcheggiate a ricordare che non siamo in estate.
Bisognerà ripensarci quando tutto sarà finito, quando torneremo alle nostre attività quotidiane e questo tempo ci sembrerà uno sbiadito ricordo. E forse questo tempo ci è dato proprio per ripensare a noi, al nostro interno (personale e familiare) così da recuperare quella integrità che perdiamo nei giorni uguali del lavoro e della corsa, dimentichi e sonnambuli.
Intanto mi affretto a tornare dopo la spesa: c'è un video-incontro organizzato alle 9:00. 

h. 19.58

Mio figlio vomita. Nel clima di paura creato dal contagio si cerca di capire se possa essere un segno di presenza del virus. Non ha la febbre, per fortuna, ha solo esagerato con chat e telefonino, cosa che gli ha procurato mal di testa e spossatezza.
Il clima di paura genera anche rabbia, risposte scomposte alle domande.
Restare chiusi tre giorni senza uscire provoca reazioni violente, grida, una rabbia che esplode senza freni, una scostumatezza che non conoscevo nei miei figli e che mi lascia sgomento.
C'è anche un lato di orrore quotidiano in questi arresti domiciliari, le piccole cose insignificanti nella vita quotidiana diventano macigni insormontabili in questi tempi.
Finirà, mi dico. Ma intanto mi chiedo se non sia in fondo anche un bene questo esplodere di reazioni come sfogo alla paura, al "carcere" della vita familiare.


14.3.2020 h. 16:43

È faticosa la vita di questi giorni in cui l'unico momento di "svago" è la spesa quotidiana. Ieri mi sono affacciato al balcone alle 18:00. Mi aspettavo una folla sui balconi circostanti, un momento di rivalsa contro la paura, per il flashmob sonoro. C'ero io.
Stamane per strada nessun pensiero: la mente era libera di vagare in un clima primaverile, finiti, per la settimana, video incontri, correzioni, video da inviare. Tra coloro che si conoscono ci si saluta dalla distanza. Per via Pretoria anche chi passeggia insieme lo fa sui due lati opposti della strada. Questo parlare di fianco, mentre si cammina e non ci si guarda negli occhi, ha un suo fascino, sono le parole ad assumere peso, non il contatto fisico, gli occhi.
Mi ripeto come un mantra che torneremo a guardarci negli occhi e che quella parte che manca tornerà a combaciare, quel vuoto che sentiamo tornerà a riempirsi.

h. 22:00

Il cielo è terso, vedo di fronte a me Orione. Nel buio serale le stelle e le luci di una città che alle 9 di sera già sembra addormentata. 


15.3.2020 h. 22:11

Ieri il silenzio serale era rotto solo dalla macchina che annunciava pene per i trasgressori dei decreti dello Stato. Oggi niente. L’abbaiare dei cani (come ogni sera), qualche rara macchina.
Il sabato è trascorso senza la musica ed il vociare dei ragazzi per strada, la movida del nostro fine settimana. Nessuna voce, nessun nome gridato. La domenica non è stata diversa, così lontana da quelle dei mesi passati, trascorsi tra Montereale e le partite di basket dei miei figli. Quanto tempo sembra già passato dalla routine delle palestre, dei viaggi in pullman ad accompagnare la squadra nelle trasferte. Tutto passato, tutto dimenticato.
Eppure il tempo che mi mancava ieri mi manca anche oggi: c’era quel libro che dovevo leggere, ancora lì sul comodino, il riordino dei fogli di ricordi, le cartelle del desktop, gli appunti… È che io lavoro meglio quando sono più oppresso da cose da fare. Oppure no, è che non so godere di questo spazio interiore ritrovato, non so sorridere del tempo “inutile”… Pensieri in libertà, come se aspettassi qualcosa, un vento impetuoso, il temporale o la calma improvvisa di un tramonto.


16.3.2020 h. 21:23

C’è una nuova quotidianità che ha sostituito quella di solo una settimana fa. Ci si abitua a tutto? Le giornate trascorrono tra l’uscita mattutina per la spazzatura e la spesa, i videoincontri con le classi, preparare le lezioni e i materiali, libri e tv. Manca l’incontro, di cui questi incontri a video sono un’ombra, ma sono l’unico modo che abbiamo, che ho, per mantenere il rapporto con i miei alunni.

Stasera mia figlio mi ha chiesto di uscire. Siamo andati al supermercato a fare la spesa che volevo rimandare a domani. Camminiamo distanti per strada, il che è un controsenso, vista la vicinanza a casa. Al supermercato una nuova disposizione: si devono indossare i guanti monouso forniti da loro e si può entrare solo un componente per famiglia. Va bene, tanto siamo usciti solo per prendere aria. Va lui a comprare qualcosa e poi torniamo lentamente a casa. Dieci minuti di aria serale potentina. Poi si torna alla quarantena. Di questo, forse, dovrò parlare: dei rapporti familiari che in parte si deteriorano (dove ho sentito che in Cina, finita la quarantena, sono esplose le richieste di divorzio?). ma sarà per un’altra volta.





17.3.2020 h. 21:25



Mi sono accorto che tendo a creare altre abitudini, come questa della scrittura sempre alla stessa ora. La mente ha bisogno di agganciarsi a cose certe e le ripetizioni di gesti e pensieri durante la giornata aiuta a ristabilire quella quotidianità perduta.

C'è un clima di untori, di caccia alle streghe che non mi piace. Leggere i social è come entrare nell'inferno del mondo, la parte peggiore che viene fuori con notizie incontrollate, fake news, una atmosfera da maccartismo con persone buttate in piazza alla gogna.

Ma c'è anche del bello tra i tanti messaggi, parole di speranza, di resistenza, di amore vero. Cerco quelle, tra le mille che ogni giorno sfoglio, mi carico come una pila di sensazioni positivi per non cedere alla paura. E mi ripeto le parole di Marco Polo ne Le città invisibili di Italo Calvino: "L'inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n'è uno, è quello che è già qui, l'inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l'inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e approfondimento continui: cercare e sapere riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio".



(Testi pubblicati, con modifiche, su Cronache di una pandemia, in Totem magazinehttps://www.totemmagazine.it/)