sabato 27 aprile 2024

Niente, e ancora niente

 


Niente, e ancora niente in questo tempo incerto
perduto l'intero, mi restano frammenti,
frammenti di te, del tuo viso, frammenti di memoria,
e cose, oggetti che rigiro tra le mani, raddrizzo e capovolgo
cercando il possibile dal vuoto della mente,
cercando il senso, un gesto, una voce che non riempie,
no, non riempie, il messaggio, la parola "senti", che ripeti,
ed io ascolto, ma resto vuoto, dentro, e quel vuoto,
lo sai, sì, lo sai anche tu, ingoia tutto, le cose fatte,
i sorrisi, il lavoro quotidiano, il mare, i sogni, gli abbracci,
e l'amuleto che porto, questo anello che giro tra le mani,
tra i pensieri, in tondo, in questo cielo azzurro
o tra le carte sporche di una scalinata abbandonata,
di fretta, sempre di fretta, per riempirlo quel vuoto,
l'angoscia del silenzio, dello schermo che riflette le paure,
che riflette il mio viso e la nebbia che ci avvolge,
e niente, niente resta oltre questo, questo nulla,
questa paura, questo pianto, questo oggetto
che non vuol dire altro, se non l'eco di me nella stanza...
"Sono stanca", mi ripeti. 
                                            Io, come sempre, non rispondo.

domenica 10 marzo 2024

Io ricordo - Io, non Noi

 





Non c’era più la discussione della politica, di un sentire comune e condiviso quando sono arrivato io. Sono arrivato troppo tardi o troppo presto, forse. Durante i pranzi, a casa, alla fine degli anni Settanta, si restava in silenzio o si ascoltava il telegiornale delle 13,30 sul primo canale. Ricordo ancora la notizia del sequestro Moro, Il 16 marzo 1978 e poi il ritrovamento del suo cadavere, il 9 maggio a Roma in via Caetani. Lo ricordo perché la notizia venne data al TG, ed io ero a tavola con i miei genitori ed i miei fratelli, ma nessun commento ci fu mentre si mangiava (forse gli spaghetti al pomodoro, che è il ricordo di cibo più vivo che ho di quegli anni). La politica non entrava in casa, tanto meno a tavola.

Solo più tardi, all’Università (erano finiti i tristi anni Ottanta, quelli rampanti degli Yuppies) compresi il senso di comunità politica che discute del presente, si interroga, si scontra. Era il 1990, l’anno della Pantera, delle occupazioni universitarie contro la riforma Ruberti per le Università. Allora ho sentito la forza viva di un pensiero che diveniva parola, nelle riunioni infinite nell’aula magna occupata, nella condivisione di cibo per terra nell’atrio, fumando una sigaretta e parlando di capitalismo, di musica, di teatro, di lavoratori. Quella stagione diede vita nell’Istituto Universitario Orientale di Napoli, al CUT, il Centro Universitario Teatrale La nave dei folli, e all’idea che l’arte non fosse quella cosa lontana dalla vita di ogni giorno, ma fosse carne, sangue, azione.

Vivevo scisso: tra la famiglia con cui trascorrevo i pranzi domenicali nel silenzio o nella chiacchiera vuota come di spot pubblicitari, e l’ansia della corsa nella settimana tra la lettura del Manifesto, il caffè con Giulio all’Astra, le riunioni e le prove del CUT e l’ansia della vita adulta che bussava.