martedì 28 aprile 2020

Diario ai tempi del Coronavirus (25-28 aprile)



25.04.2020

h. 20:09

Mi ero svegliato con l'idea di questa giornata, di altri 25 aprile passati in piazza. Ma anche con la semplice idea della liberazione dal tecnologico per un giorno... Non ci sono riuscito, in breve riassorbito dalle tante, troppe cose da fare, immerso nel computer.
La giornata però ha mantenuto l'idea della liberazione, nei tanti messaggi che leggo, nelle tante immagini di un tempo passato eppure ancora vivo e necessario. Tra le tante faccio mio l'augurio di Hilde: 
«Che la forza che ha animato quei giovani Partigiani, possa essere, oggi, per ciascun individuo, fonte di ispirazione, coraggio e altruistica partecipazione alla vita democratica delle nostre comunità, in qualunque contesto storico ed economico e di fronte a qualsiasi difficoltà».

Gianni D'Elia, Memoria:
«Andatelo a dire
ai caduti di ieri
che il loro morire
fu come le nevi...»
«No, i fuochi di un tempo
non trovano pace,
la cenere al vento
riscopre la brace...»
«Una cosa il giudizio,
un’altra la pietà,
lottare per la morte
o per la libertà...»
«L’unica dignità
della nostra storia
è la memoria
della verità...»
«Alla vecchia e alla nuova
Resistenza italiana,
contro l’odio che odia,
per l’amore che ama...»
«Andatelo a dire
ai caduti di ieri
che il loro morire
fu come le nevi...
»


26.04.2020



h. 18:49

Ho fatto un patto con Michele: non ci tagliamo barba e capelli fino a fine quarantena. La barba l’ho sempre portata. Da quando è iniziata a crescere è diventata per me una sorta di protezione, di maschera con cui difendermi, nascondermi. Sono state rarissime le volte in cui l’ho tagliata completamente (dopo la nascita di Michele, ad esempio), il più delle volte la accorciavo soltanto, specie in estate. D’altra parte non mi so più vedere senza, è diventata espressione di me, anche se mi invecchia, anche se è diventata ormai bianca, come i capelli.






I figli adolescenti sono un cruccio non da poco in questa fase e mi chiedo se sarebbe stato così anche nella vita pre-quarantena. Francamente credo di sì, con aspetti probabilmente diversi, ma le preoccupazioni ci sarebbero state comunque, Il problema è che siamo genitori-insegnanti e quindi in qualche modo doppiamente preoccupati di ciò che fanno i nostri figli, dello spreco di tempo dietro i cellulari. Sono padre severo un po’ rammollito da questo tempo diverso. E poi mi sembra che se il primo e l’ultimo, per ragioni diverse, siano in grado di prendere le cose con il giusto giudizio e di lavorare opportunamente quando serve, anche guidati magari, il mediano ha un carattere diverso, silenzioso e apparentemente strafottente ai rimproveri, solitario e indolente. In parte mi rassomiglia nel suo fare parte per se stesso, senza curarsi degli altri, neanche dei fratelli che si alleano tra di loro. Nella solitudine che è ancor più evidente in questi giorni. Il cellulare, un libro, una stanza vuota è tutto quello che gli serve. Anch’io sono stato così, però ricordo pure la sofferenza di certi momenti, inevitabile certo, ma che vorrei gli fosse risparmiata visto che sono qui, che siamo qui. Ma lui non dice una parola.

Parlare. Pensare. Questo faccio in questi giorni, nient’altro. Spesso parole vuote, ma sempre facendo attenzione, perché “le parole sono tenere, intrattabili e vive”, sempre importanti. E allora? E allora quando parla di barba e di nascondimenti, di figli e di oggetti, di scuola e vicinanza non faccio altro che parlare di me e del mondo, di quello che sono e di quello che vorrei cambiare. Per me. Per i miei figli.



27.04.2020 h. 23:20

Possibile scrivere di un giorno in cui non succede niente? Pochi pensieri, nessuna uscita, tranquillità in casa (questa forse è già una notizia). Ma anche di questo sono fatti i giorni, di noia, attesa, pensieri in libertà aspettando la fase 2 con calma, senza la fretta di chi corre senza guardarsi intorno. Se c’è qualcosa che questa quarantena dovrebbe averci insegnato è proprio la lentezza di un tempo fatto di attenzione, di attenzioni.


28.04.2020 h. 23:30

Le parole ci accompagnano, sono il nostro pane. E con loro la memoria del passato e l'urgenza del presente. Le parole di oggi sono state "angoscia", "libertà", "valore", "natura", "tempo" in un intreccio di pensieri tra presente e futuro, infanzia ed affetti, desiderio ed abbracci mancati.
Mi affaccio al balcone e vedo mia moglie tornare stanca dalla spesa.
In casa litigo ferocemente con mio figlio.
L'ira si accumula, la trattengo a stento, la sento tramutarsi in fitte nello stomaco, in spossatezza, angoscia.
La verità, mi dico. Quale? Tutto relativizzato. Tutto banalizzato..Tutto oggettivo? La facciata dei dati classificata e inscatolata, pronta per essere digerita. L'affermazione e il suo contrario.
Ma il dolore? L'angoscia? La paura della ferita e dell'abbandono? Del buio e della morte? Al di là di tutto questo, facendo anche finta, aspettando che torni la voglia.

Ma passa per il buio senza paura...




(Testi pubblicati, con modifiche, su Cronache di una pandemia, in Totem magazinehttps://www.totemmagazine.it/)

sabato 25 aprile 2020

Vicinitudini 2


24.04.2020 h. 21:55

Le canzoni fanno da leit-motiv a questa quarantena, le parole e le musiche ci accompagnano nei giorni uguali e diversi.



Continuiamo con l'esperimento (anzi, non più esperimento ma importante realtà) di Vicinitudini, una delle cose belle di questa quarantena. Condividiamo soprattutto parole, molte riflessioni personali, alcune fissate su carta, e poi racconti da leggere e ascoltare, poesie e tanta musica, che diventa espressione dei sentimenti dei giorni che passano. 



Così come i film, suggeriti come farmaco per l'animo. Ma è soprattutto l'incontro di anime che mi colpisce, la tenerezza delle voci e dei doni che vengono scambiati, le fotografie di una vita che scorre tra pensieri e paure, tra sorrisi e semplicità, reticenze ed espressione di sé senza difese. 


La cura l'uno dell'altro, la testimonianza dell'importanza che attribuiamo a questi incontri è data dagli sguardi, dalle voci a volte rotte, a volte gioiose.



Anche quando sembra di non sapere dove andiamo, senza meta e senza strada, sperduti nel bosco, solo ragazze e ragazzi, in queste sere ritroviamo ragioni nelle testimonianze che ci scambiamo, ritrovando un senso. 


Sono le istantanee di questi giorni, che io mi appunto nel quaderno della memoria, le cose importanti, quelle che valgono, quelle che rimangono.


venerdì 24 aprile 2020

Scritture (dal diario ai tempi del Coronavirus)




23.04.2020 h. 20:11
















Da quando ricordo ho sempre scritto, in un modo o in un altro,e anche per questo spesso i libri sono stati veicoli di emozioni che non riuscivo ad esprimere. Ritrovare negli scrittori le parole che non riuscivo a dire mi allargava il cuore, e la mente. Forse per questo insisto spesso con i miei figli (e con gli alunni) per farli leggere. Ma anche per farli scrivere, perché la scrittura diventa lo sfogo delle emozioni (per me innanzitutto il dolore, sì, perché la mia scrittura nasce quasi sempre quando non riesco a reggere il dolore, come pianto interiore che, se trattenuto, spaccherebbe il cuore).
Scrivevo come scambio di idee, come educatore, come amico, come padre (ho scritto a lungo lettere ad ex alunni, quando ancora si scrivevano le lettere, ad amici, ai figli), ma scrivevo soprattutto per me. E scrivo ancora. Più in breve, messaggi (molte volte sollecitati), resti di versi e pensieri. E a questo invito oggi i miei alunni. A scrivere, non per la scuola, ma per se stessi, anche solo una parola, un pensiero, una frase.
Scrivo agli amici che mi fanno notare come questo “umor nero” non sia in fondo che una amplificazione di una mia tendenza innata, che è vero, io sono di natura un accidioso che lotta perennemente contro questo suo carattere (credo Nicola che tu me lo abbia scritto già nei miei 20 anni donandomi un libro…). A chi mi invita a non incupirmi (cara Hilde) rispondo che sono i giorni che passano ad aggrovigliare sempre più i pensieri che poi è difficile scioglierle. I nodi inestricabili che si creano dovrebbero essere tagliati, ma non ne ho il coraggio, né, probabilmente, la forza. Restano là, abbarbicati, grovigli sempre più grandi che forse nemmeno la fine della quarantena riuscirà a sciogliere. Però le ripeto (e ripeto a Nicola, a Giulio, a Hilde, agli amici di sempre) che resta la certezza degli amici cari, e quello è un pensiero lieve, liscio, come una carezza che scioglie le paure e il nero della mente.
Forse resta del giorno che si avvia alla sera l’importanza di queste poche righe mentre tutto intorno è solamente pioggia…

mercoledì 22 aprile 2020

Diario ai tempi del Coronavirus (19-22 aprile)


19.04.2020 h. 23:32


Ci sono giorni senza pensieri di cui restano solo sensazioni e qualche immagine che ti accompagna fino a sera.
La rabbia "difficile" di mio figlio. Il silenzio improvviso del primo pomeriggio. Il buio della soffitta. I libri sparsi sulla scrivania. Il rumore dell'acqua della doccia. Il riflesso del sole sul vetro. L'odore buono dalla cucina. I pensieri aggrovigliati. L'immagine di un sogno che torna alla mente: la spiaggia vuota, il mare autunnale, il sole che tramonta.



20.04.2020 h. 23:34

I giorni si susseguono uguali. Cambiano piccoli particolari, come il cielo, l'umore, le canzoni, ma per il resto un giorno vale l'altro. Anche se cerco lievi variazioni sul tema, un libro, una frase, un film, si accumulano le ore una sopra l'altra in modo inesorabile. La quarantena ha aggrovigliato i pensieri, ha affannato il respiro del cuore. "Non c'è cosa più amara che l'alba di un giorno in cui nulla accadrà". 
E c'è un rumore di fondo che non smette mai, che anche quando vado a dormire gira e vibra tra i pensieri e mi sveglia d'improvviso di notte. "Please could you stop the noise?".


Poi ci sono momenti in cui tutto ritorna calmo e tranquillo, come ora, in cui i pensieri vengono pettinati da una pace, da un sorriso e tutto trova il suo posto come in "un posto tranquillo, illuminato bene". Ed aspetto con fiducia domani.

Lo steddazzu (Cesare Pavese)

L'uomo solo si leva che il mare è ancor buio
e le stelle vacillano. Un tepore di fiato
sale su dalla riva, dov'è il letto del mare,
e addolcisce il respiro. Quest'è l'ora in cui nulla
può accadere. Perfino la pipa tra i denti
pende spenta. Notturno è il sommesso sciacquio.
L'uomo solo ha già acceso un gran fuoco di rami
e lo guarda arrossare il terreno. Anche il mare
tra non molto sarà come il fuoco, avvampante.
Non c'è cosa più amara che l'alba di un giorno
in cui nulla accadrà. Non c'è cosa più amara
che l'inutilità. Pende stanca nel cielo
una stella verdognola, sorpresa dall'alba.
Vede il mare ancor buio e la macchia di fuoco
a cui l'uomo, per fare qualcosa, si scalda;
vede, e cade dal sonno tra le fosche montagne
dov'è un letto di neve. La lentezza dell'ora
è spietata, per chi non aspetta più nulla.
Val la pena che il sole si levi dal mare
e la lunga giornata cominci? Domani
tornerà l'alba tiepida con la diafana luce
e sarà come ieri e mai nulla accadrà.
L'uomo solo vorrebbe soltanto dormire.
Quando l'ultima stella si spegne nel cielo,
l'uomo adagio prepara la pipa e l'accende. 


21.04.2020 h.23:23



E' sempre più forte la fatica di una scuola che opera a distanza. Io, almeno, sento ogni giorno di più il peso di questo tempo vissuto su una sedia davanti ad uno schermo. Di che scuola parliamo quando parliamo di DaD? Questa che inventiamo quotidianamente, che mima una normalità che non c'è, o quella fatta da incontri serali in cui poter finalmente parlare, dirci paure e sogni? Io credo che ora come ora manchi la "noia" delle ore in aula, la risata e lo sbracciarsi, l'uscita e la chiacchiera, la vicinanza di corpi e sguardi che ripercorriamo in queste ore serali rubate alla famiglia. La fatica della distanza inizia a pesare perché mancano i compagni e quel tempo mattutino in cui la relazione viene trasmessa anche dal corpo che si muove tra i banchi.
Ma la fatica è anche in casa nella diversa relazione con i miei figli: chi non parla, da giorni potrei dire, e vive questo tempo completamente perso dentro uno schermo; chi vive di chiamate con amici, rabbia, passioni tristi e per fortuna ancora parole; chi è in attesa di qualcosa che per ora non può avere... Ognuno di noi è perso, disperso, e forse ora mi accorgo della mia incapacità, della mia inadeguatezza ad esserci.
I giorni sono tutti uguali e anche le notti. Di giorno il computer, le parole; di notte il sonno spezzato da continui risvegli ed i sogni senza senso di un passato lontano mischiato ad un presente incerto, sospeso.
Gli oggetti mentre scrivo mi guardano: c'è un pupazzetto, un giocatore di football americano, che ho con me da più di trent'anni, che mi guarda, sorride di un riso furbo, che sa ma non dice; c'è una lampada che getta strane ombra alla luce fioca del computer, che si allungano sul pavimento verso di me; ci sono fotografie da cui spuntano visi pronti a parlare ma che tacciono ancora...
Forse questo diario è diventato solo lo sfogo dei pensieri del giorno, ricettacolo di ciò che resta, di ciò che si salva dalla bocca del leone, la pattumiera dell'umido, non so. O forse è solo che lo scrivo tardi, quando ormai il nero della notte è tutto intorno e la luce dell'alba è ancora di là da venire. Ma non è forse vero che nel buio più profondo si nasconde la luce?



22.04.2020 h. 17.56

Provo a cambiare orario di scrittura per vedere se cambiano anche i pensieri.
Stamane sono uscito dopo 5 giorni. La pioggia che cade distanzia ancora di più i passi tra le persone. Cammino lento, senza pensieri, con mascherina, guanti ed ombrello (un po’ come le pinne, fucile ed occhiali di Edoardo Vianello), 


bardato come per un combattimento mortale.
Poi letture sulla scuola e sull’esame, lezioni, compiti, la nuova quotidianità… No. I pensieri non cambiano. Per oggi basta così.



h. 23:15
Sarà che, come scrivevo come battuta a Pino, ci sarebbe bisogno di una videochiamata anche con i figli, oltre che con gli alunni e i parenti e gli amici. Anche con loro, forse, dovrei pensare a un incontro in cui, divisi dalle camere, ci connettessimo per parlare attraverso gli schermi per ritrovare il contatto che a volte sembra manchi, quando ci incrociamo per casa o ci ritroviamo a pranzo. Ognuno di noi è solo. Forse riuscirei a dir loro le cose che ora appena pronunciate sembrano atti di accusa a cui rispondono con rabbia. Forse, non so. Intanto i pensieri si sono di nuovo aggrovigliati.




(Testi pubblicati, con modifiche, su Cronache di una pandemia, in Totem magazine, https://www.totemmagazine.it/)

venerdì 17 aprile 2020

Diario ai tempi del Coronavirus (15-18 aprile)

15.04.2020 h. 23:20

La parola. Ora solo quella ci salva. Come testimonianza, come carezza, come monito. La aspetto, la offro. Non c’è altro in questa inquietudine quotidiana, in questa notte, in questa burrasca, perché “lì dove c’è il pericolo cresce anche ciò che salva”. 

E la parola forse ancora ci salva, ci salva dalla quotidiana paura, dal "silenzio di cosa" a cui ci stiamo abituando, dal muto arrovellarsi del pensiero tra angoscia e speranza, come una zattera, come un relitto, come un fiore.


16.04.2020 h. 23:57


Un’altra giornata trascorsa dietro uno schermo. Dietro o davanti? Mi confondo. Mi sembra di essere parte del computer e che essere davanti allo schermo equivalga ad essere dietro uno specchio da cui vedo la mia stanza, il mio viso, la mia vita.
Mi sembra di essere un cavo elettrico, un contenitore vuoto, un connettore di niente, perso dietro le parole che scorrono, lanciate nel web, abbandonate alla deriva. È un naufragio?
La notte mi alzo tre, quattro volte e giro per casa come un sonnambulo, toccando le cose, caso mai sparissero davanti ai miei occhi, caso mai non fossi io quello che cammina, ma un altro da me, un me esterno che mi guarda camminare, toccare. O forse sono gli oggetti che mi guardano, che mi toccano.
E domani? Oggi?



17.04.2020 h. 17:30


Che uomini saremo? Non intendo da un punto di vista fisico (io certamente con barba e capelli incolti e qualche chilo in più) ma nel nostro intimo, nel nostro cuore. Ci avrà insegnato qualcosa questo tempo lento? A me avrà insegnato qualcosa? Saprò essere più gentile con le donne e gli uomini che mi circondano, con le piante, con la terra che calpesto, gli alberi? Saprò rendere naturale il tecnologico di questi giorni, le vicinitudini, le parole, gli sguardi? Saprò dare importanza alle cose, ai giorni, alla famiglia? Saprò vivere un tempo diverso, fatto di lentezza, di attenzione, di amore?


18.04.2020 h. 20:05



Storie da un altro tempo.
Arrivano memorie da un altro tempo, immagini sfocate, smarrite, suoni che ascolta un altro me. 
Aspetto, trattengo il fiato, teso all'ascolto.
Cosa aspetto? Lo squarcio? Sono immagini di un altro tempo, le prove alla sala Assoli, i lunghi pomeriggi a scrivere e immaginare la messa in scena di quello studio, i versi da estrarre e da ricombinare con altre letture, l'idea del mondo da cambiare. Ma il ronzio che avverto è solo il cd che cerca la canzone che voglio ascoltare, non è il sangue che picchia nelle vene
Chissà poi perché arrivano così quelle parole dimenticate, perché qui, perché ora.
Io sono qui. Sono venuto a suonare, sono venuto ad amare e di nascosto a danzare.
La verde Milonga mi inquieta, mi riporta immagini del passato, il viaggio con Giulio in Puglia, le lunghe chiacchierate nelle sere estive ad inseguire sogni e parole, fino ai laghi bianchi del silenzio.
E poi e poi. L'ultimo valzer, questo valzer, i dimenticati e i sopravvissuti, e anche noi nel vento, con quell'albero che si stagliava nella pioggia e tu e tu... Ma è che a volte la memoria confonde visi e giorni. Così anche noi. Così anche quest'oggi lo sarà, domani. Domani, per fortuna domani.

(Testi pubblicati, con modifiche, su Cronache di una pandemia, in Totem magazine, https://www.totemmagazine.it/)

domenica 12 aprile 2020

Diario ai tempi del Coronavirus (11-14 aprile)

11.04.2020 h. 13:05


Se non fosse che la gente porta le mascherine ed è in fila davanti ai negozi di alimentari sarebbe un sabato santo normale. Un'altra giornata di sole, caldo, intenso. La gente si saluta e si dà gli auguri, sia pure a distanza, chiacchiera, sorride, per quanto il sorriso si possa vedere nascosto da mascherine di ogni tipo. Ma si vedono gli occhi, che sembrano più sereni.
A casa oggi ho più tempo, ascolto i R.E.M., metto ordine tra le carte lasciate ammassate in un mese intenso, preparo i materiali che dovrò utilizzare per le videolezioni, mi scrivo con qualche amico lontano, prendo accordi per incontri futuri.
Come stai? Stai bene? Cosa fai? Cosa pensi?
Siamo viaggiatori allo sbando con poche certezze. Tra queste c'è quella del bagaglio che mi porto dietro nel viaggio, che condivido con gli altri smarriti come me assaggiando il loro pane nero, bevendo la mia acqua calda, salata.




12.04.2020 h. 14.59


È una Pasqua strana, perché sono state poche le volte in cui abbiamo passato questo periodo in casa. Con i ragazzi ancora piccoli, e la Pasqua ad Aprile, i nostri viaggi erano per lo più alla casa al mare dei miei genitori a Santa Maria di Castellabate (un luogo del cuore che ora, con la quarantena, manca ancora di più). Poi dal 2013 abbiamo iniziato a fare viaggi per musei: Novara e Torino; Firenze; Trento e Bolzano; Bologna (anche per seguire Michele al Trofeo delle Regioni di Basket); Padova e Venezia; Roma. Solo l’anno scorso non ci siamo mossi dopo che l’ultima volta, a Roma, i ragazzi avevano mostrato fastidio a venire in vacanza con noi e c’era stato qualche “screzio”. Quest’anno l’idea era l’Abruzzo per seguire Matteo a Roseto degli Abruzzi dove avrebbe dovuto svolgersi il Trofeo delle Regioni di Basket per i 2006.
Forse è questo che mi spiace di più, non il viaggio (anche, a dire il vero, perché, a parte Firenze, tutte le escursioni le abbiamo fatte muovendoci col treno) quanto il piacere di seguire i miei figli nelle loro attività, specie in questo evento importante per lui e che non ritornerà.
Tornerà a giocare a basket, certo, ad allenarsi (e io sarò lì ad accompagnarlo, a vederlo giocare), ma certe esperienze, purtroppo, non ci saranno più.
Ecco. È questo che gli ha tolto il virus: la possibilità di vivere certe esperienze emozionanti nello sport, nei certamina, nelle olimpiadi, nelle uscite didattiche, nei viaggi di istruzione, la possibilità  dell’incontro del confronto con i loro pari età, con i loro amici. 


13.04.2020 h. 10:00



Quando mi arrivano le catene sui social in genere le spezzo, non mi interessano, però alcune ti permettono di ripensare a libri e dischi importanti. Sono davvero tanti i libri a me cari e spesso per ragioni minime, perché legati ad un evento o a una persona, perché spesso i libri li ho letti per una parola scambiati oppure perché donati da un amico, o ancora sono legati ad un evento, un dolore, una gioia che me li hanno resi cari. Ne scrivo di seguito dieci senza voler fare una classifica: Cesare Pavese, Dialoghi con Leucò; Agota Kristof, Trilogia della città di K.; Pier Paolo Pasolini, Scritti corsari; Antonin Artaud, Al paese dei Tarahumara; H.M. Enzensberger, La fine del Titanic; Erri De Luca, Tu, mio; W. Faulkner, L'urlo e il furore; P. Celan, Poesie; W. Benjamin, Angelus novus; J.M. Coetzee, La vita degli animali. Ne aggiungo due: M. Schwob, La crociata dei bambini e Christa Wolf, Medea. Voci.
Per gli album il discorso non è diverso. O forse sì, perché spesso più che ad un album sono legato ad una canzone. Ma ci sono alcuni album (di cui ascoltavo il 33 giri) a cui sono particolarmente affezionato. Anche qui senza voler fare una classifica: Nick Cave, Murder ballads; Tom Waits, Swordfishtrombones; Lucio Battisti, Umanamente uomo: il sogno; Fabrizio De Andrè, Anime salve; Genesis, Selling England by the pound; Pink Floyd, Wish you were here; R.E.M., Out of time; Franco Battiato, Mondi lontanissimi; Bob Dylan, Blood on the tracks; Radiohead, OK computer.




h. 19:30

"Tra oro e oblio"

Al di là della nebbia c'è il sole
perduto nella frattura dell'alba
tra un no e un sì alla luce
dove il buio che arretra
lascia spazio alla domanda.

Nella crepa del cuore
riscoprire l'intimità della foglia,
la voce del vento, il respiro placato
dal molto che manca, dal niente
che abbiamo - quel tutto.

Al di là della rabbia, del dolore
ritrovare la pienezza del vuoto, 
il filo dell'erba, il poco
che è molto e indugiare
sulla soglia di chi 
                                  ci aspetta domani.


(Testi pubblicati, con modifiche, su Cronache di una pandemia, in Totem magazinehttps://www.totemmagazine.it/)

mercoledì 8 aprile 2020

Vicinitudini



Chiacchierando con gli alunni e vedendo sui social esperimenti simili (incontri tipo "Setta dei poeti estinti" de L'attimo fuggente, esperimenti artistici in cui si parla di fotografia, musica e scrittura) mi è venuto in mente di organizzare un incontro a settimana con 5/6 persone per volta (da fare rigorosamente alle 19) in cui raccontarsi tramite foto, immagini, musica, parole (di altri o proprie). Il nome scelto è stato Vicinitudini. L'ho proposto alle mie classi terze e alla prima, solo a chi fosse interessato a condividere qualcosa di sé in questo tempo di quarantena, un modo per rompere la monotonia ("il marcire delle carni") e fare qualcosa in cui mettersi in gioco. 

https://www.youtube.com/watch?v=oanJaxr36e0


Molti hanno accettato con entusiasmo, altri hanno gentilmente declinato l'invito, pochi non hanno ritenuto di dover rispondere.

https://www.youtube.com/watch?v=LGD9i718kBU


Il nome è nato perché ho messo in connessione due termini opposti ma in questo periodo legati: vicini e solitudini, uniti anche dal termine vicessitudini. Un modo quindi di raccontare le proprie esperienze di vita, i propri pensieri gioiosi ma anche difficili e dolorosi, per superare la solitudine dei giorni e sentirsi in qualche modo vicini. Un modo di incontrarsi diverso rispetto agli incontri "scolastici", insomma.


https://www.youtube.com/watch?v=UNWKFb0832w

Vicinitudini è uno di questi modi, un racconto, un ascolto, un sorriso, tra musica, immagini e parole. Il primo incontro è passato tra Schopenhauer e De Gregori, ebraismo e Dylan Thomas, Alda Merini e Astor Piazzolla, skateboard, quadri, panorami, Joe Cocker, cibi, Lou Reed, Ludovico Einaudi e Psychedeluc Furs, un'ora in cui ci siamo raccontati questi giorni. Nell'attesa di incontrarci.


https://www.youtube.com/watch?v=j3vowbyQBiQ


Ci sono giorni in cui Vicinitudini è maggiormente empatico. Non so perché accada, forse quando inizio l'incontro con qualcosa di più personale. Quando ho letto un vecchio scritto che parlava di mio padre (nel giorno in cui avrebbe compiuto 99 anni), quando ho letto uno scritto del 1999 che parlava di naufragi, o uno del 2005 in memoria di una cara alunna... Oppure perché è diversa l'atmosfera. Quando questo avviene passa una scarica elettrica tra noi, c'è una connessione, una sensibilità, una emozione diversa da altri giorni. Tutti raccontano cose molto forti mettendo a nudo se stessi e la commozione è palese in tutti. E' bello questo modo di incontrarci, ricrea connessioni che superano le paure e le distanze, che ci raccontano anche più di quanto accade a scuola. Forse la quarantena ha abbassato le difese, siamo più pronti all'incontro, alla vicinanza di chi sentiamo simile a noi nei sentimenti. 

Ma guardare i loro visi, anche nelle lacrime, mi dà comunque grande gioia.

https://www.youtube.com/watch?v=zWGPBBwuyck

Vicinitudini è nato per caso, perché volevo condividere con i ragazzi qualcosa che andasse al di là della scuola, qualcosa che ci permettesse di condividere pensieri e sensazioni durante il periodo della quarantena. Un momento in cui, di sera, terminato l'impegno del giorno, ci sentissimo vicini oltre le videolezioni.


La realtà è che siamo esseri fragili, che abbiamo bisogno di esprimere le nostre gioie, le nostre paure, i nostri sogni, ciò che ci manca. Ed è bello, per me, in quell'ora trascorsa con loro senza assilli, scoprire i loro doni musicali, i loro racconti, le pagine che li hanno colpiti, le esperienze ed insieme condividere i miei ricordi, i miei sogni, la mia musica e le poesie che amo. È uno scambio alla pari, in cui ognuno di noi esce più arricchito alla fine ed un po' meno solo.


https://www.youtube.com/watch?v=4N3N1MlvVc4


Cosa condividiamo? Musica, innanzitutto, canzoni che in questo tempo ci raccontano, ci fanno riflettere. Ma anche musica suonata con chitarre e pianoforte. E poi parole: poesie, aforismi, pagine. Foto e brevi video del nostro passato, oggetti della nostra quotidianità passata, la nostra stanza, le esperienze che ci hanno segnato, qualche peso che ci portiamo dentro... Soprattutto, i nostri visi nella penombra, i sorrisi e la commozione, i panorami delle nostre finestre, le mura delle nostre prigioni, i corpi e la voce.
E poi, ancora, disegni, le parole che vorremmo dire e non diciamo, quadri e racconti, tutto il nostro mondo interiore che prende vita in quell'ora trascorsa insieme.

https://www.youtube.com/watch?v=0XW9XN_vDaA


Ed io? Cosa condivido io oltre a fare da guida in questo percorso nella sera? Soprattutto parole: le mie antiche, raccolte anche in questo blog, o qualche pensiero di questi giorni; quelle di scrittori amati (Cappello, Thomas, Arminio) tra le cui parole ritrovo sentimenti di questi giorni; qualche musica (Piazzolla, B. Eno, Battisti, R.E.M., Battiato) in cui le emozioni trovano voce.


https://www.youtube.com/watch?v=DrbU36HY4NQ  


Sarebbe lungo raccontare tutto, anche perché non tutto si può raccontare di quello scambio che avviene tra noi. Solo che sono felice nelle parole che ci scambiamo.








Diario ai tempi del Coronavirus (7-10 aprile)

7.04.2020 h. 7:45



Il sole illumina la stanza di una luce intensa. Mi affaccio dal balcone sulle strade vuote, sul silenzio delle cose che compongono questo paesaggio, anch'io ridotto a "silenzio di cosa". Nessun suono, nessuna voce, nessun nome. Ogni parte del paesaggio è fissata nella sua essenza: la casa è una casa, la collina una collina, la ringhiera una ringhiera. Nessun segreto da svelare, nessun simbolo nascosto. Le cose sono così, oggi, rimandano ai miei occhi il loro essere e mi parlano in modo semplice, mi ricordano la vita che prosegue. Ma la vita aspetta? Questo mi chiedo. Forse ci stiamo abituando a questo stare chiusi, al guardare dalla distanza (di uno schermo, di un balcone), a veder scorrere la vita delle cose fissando la nostra in queste stanze, in questo stare. La sveglia mi dice che sono le 7:52, il corpo mi invita ad andare, a correre sul ponte, intorno a Montereale. E sono stanco, a volte disperato a volte lieto, ma sono stanco, perché le cose rimangono mute al mio sguardo anche se le fisso, aspettando che avvenga un miracolo. Non arriva, non arriva mai.

h. 14:51
La casa-tana, la casa-totem che ci protegge è diventata la nostra nemica, o almeno la mia. Il rischio che paventavo in un'altra pagina sembra diventato reale. È il rischio di stare bene a casa, nel caldo abbraccio delle pareti domestiche, tra i familiari, gli schermi, i libri.
Oggi l'ho provato forte. Ho dovuto fare uno sforzo per uscire, andare in garage a prendere dalla dispensa le cose che servivano, nonostante il sole, nonostante i molti giorni che sono chiuso in casa. Nell'uscire ho chiesto ai miei figli di accompagnarmi. Ecco, è qui forse che ho sentito come sarà difficile riprendere una vita tranquilla, perché i miei figli hanno detto di no, anche chi, Matteo, nei primi giorni di quarantena mi chiedeva sempre di uscire. Non Giulio, così simile a me nel trovare il proprio luogo in un angolo qualunque della casa in cui stare da solo.
Fuori c'è un bel sole. Attraverso il ponte di Montereale senza fretta, respirando l'aria primaverile. Nessun suono, nessuna macchina. Fatti i servizi, rientro. Fotografo Potenza dal giardino sotto i tigli e ripercorro lento la stessa strada. C'è una voce che grida "Chi mi viene a prendere?", "Chi mi viene a prendere?". Più volte.
Nessuno risponde. nessuno grida il suo nome, il mio nome. Nemmeno io.


8.04.06 h. 15:40

Un uomo, un atleta, per tanti ragazzi un maestro, un modello, un padre. Un altro doloroso addio. Prima di conoscere l'uomo ho conosciuto il "mito" Donato Sabia, l'ottocentometrista le cui gare guardavo in tv nei miei diciott'anni. Poi ho conosciuto, come dirigente di una società di basket, l'uomo gentile dell'Ufficio Sport, attento ai bisogni delle società sportive e dello sport sano, l'allenatore attento ai ragazzi che si affacciavano al mondo sportivo, il divulgatore sensibile, comprensivo e onesto, schivo e generoso.



9.04.2020 h. 17:17

Sono uscito con la macchina dopo più di un mese (l'ultima volta era stata il 3 marzo) per un servizio urgente presso uno studio ortodontico. Riprendere la macchina in una città semi deserta comporta rapidità negli spostamenti e nel ritorno a casa. A parte un giovane che corre come se la strada fosse una pista di formula 1 niente mi ha colpito: la cosa più importante di questa giornata è il sole, caldo, luminoso, in un cielo azzurro che fa male.

Bisognerà ricordare anche questi giorni, insieme a quelli di neve e di vento, quando torneremo ad uscire, questi giorni normali che non ci lasciano segni, sogni. Bisognerà ricordarli perché fanno parte di questo mese in cui si sono alternate paure e speranze, dolore e gioie improvvisi, parole e silenzi, a cui si aggiungono questi giorni grigi in cui non c'è niente da raccontare se non questo sole forte, questa luce intensa che brucia gli occhi.




10.04.2020 h. 15:09

Di maschere, mascherine e altre sottigliezze


Ci sono maschere che coprono volto e cuore, che fissano per sempre una immagine di noi, irrigiditi in una immobilità di finzione, il nostro quotidiano inganno per vivere le relazioni; ci sono maschere che ci danno gli altri e che ci bloccano per sempre in un ruolo, imperitura immagine di noi, in una forma che si muove in mezzo ad altre forme occupate a ritagliarsi il loro piccolo spazio nella recita quotidiana della vita; ci sono maschere a protezione della vita, dietro cui si intravedono sorrisi, occhi stanchi ma fermi, paura anche ma ferma volontà di portare a compimento il proprio lavoro, anche a rischio della vita. Ecco, pensavo a questo leggendo della morte quotidiana di medici ed infermieri, gli unici che portano una maschera che non nasconde il viso ed il cuore. 



(Testi pubblicati, con modifiche, su Cronache di una pandemia, in Totem magazinehttps://www.totemmagazine.it/)

sabato 4 aprile 2020

La scuola ai tempi del Coronavirus. Una riflessione.





Questa riflessione nasce da 25 giorni di quarantena e di didattica a distanza (DAD). Esperienza quindi assolutamente personale di un docente di una scuola secondaria, un liceo classico per la precisione, del sud Italia.
Già qui potrebbe aprirsi una discussione, perché è un liceo classico (e quindi poco incline alla modernità, si potrebbe dire) e perché è una scuola del sud (per sua natura maggiormente abbandonata per quel che riguarda le dotazioni tecnologiche dal Ministero). In realtà devo smentire entrambe le cose: il liceo classico in generale, e il Flacco in particolare, si sono aperti negli anni alla tecnologia, pur mantenendo il rigore disciplinare, e anche per quel che riguarda le scuole del sud, pur con alcuni distinguo, c’è stata una maggiore attenzione da parte delle Istituzioni.
Liberato il campo da queste problematiche vediamo allora quali sono le difficoltà della DAD.

  1.  I docenti

Non tutti i docenti hanno superato la propria idiosincrasia per il tecnologico. La sfida di questo mese è stata mettersi in gioco, sbagliare, magari, l’applicazione web, oppure utilizzare esclusivamente il forum del sito di Istituto, ma il nucleo del lavoro svolto (dai miei colleghi e da tanti che sento nei vari gruppi di cui faccio parte) è stato far sentire la propria presenza agli alunni, in qualunque modo possibile, senza lasciarli mai abbandonati a se stessi. Videolezioni, materiali inviati, link di approfondimento, audiolezione, video incontri, tutto ciò che la fantasia, il cuore e la razionalità dei docenti ha suggerito loro, è stato messo in campo per superare il limite della distanza fisica.
Ci sono tantissimi esempi in rete di questa forza di una categoria tanto bistrattata che non si è arresa all’esistente ma ha inventato, anche dal nulla, modalità di incontro per restare accanto ai propri ragazzi e non semplicemente per assegnare compiti, ma per far sentire la propria presenza. Scrive il mio amico Nicola Sguera (docente di filosofia): «Ma la categoria più interessante e, sebbene la parola rischi di apparire abusata e offensiva per chi è esposto al rischio della vita, “eroica”, è quella di chi, superando paure, remore, insicurezze, mettendosi in discussione e sottoponendosi in tempo reale ad un corso di aggiornamento intensivo (learning by doing!), scontando la frustrazione e il fallimento, è riuscito a non limitarsi al “compito” ma a preservare quell’organismo delicato e prezioso che è la classe, intesa come comunità discente che si forma non solo (e non tanto) in conoscenze e competenze ma soprattutto nella relazione».
E il compito fondamentale dei docenti è stato messo ben in luce da questa bellissima e commovente lettera di una madre anestesista agli insegnanti della figlia


 2. I ragazzi

Da sempre tecnologici, per loro non è stato un problema approcciarsi alla DAD. I problemi sono altri. A scuola i ragazzi depositano i propri cellulari. Quelle cinque ore le passano (quasi) completamente disconnessi. Quello che è il loro modo naturale di rapportarsi con gli altri (le chat), di ascoltare musica (spotify) o guardare film viene interrotto. Sono costretti ad ascoltare, a fare domande, a concentrare l’attenzione su una cosa diversa rispetto al cellulare.
Ora, invece, il loro tempo è, per quasi 18 ore, tutto concentrato su uno schermo. Il tempo scandito dalla sveglia (perché a scuola si entra alle 8:00), dalle lezioni (5 ore), dallo studio a casa è stato stravolto. Per questo credo sia importante da parte dei docenti aver garantito (e continuare a garantire) la propria presenza, anche per dare l’idea di un mondo che va avanti, di una quotidianità che si perpetua. Per questo sono importanti i compiti dati, le consegne, gli incontri a video.


3. Compiti e verifiche

Questo è l’altro problema. Non per noi docenti (e credo nemmeno per gli alunni), ma per il “sistema scuola”. Scrive un collega di Manfredonia (Michele Illiceto) in una lettera aperta alla ministra Azzolina dopo la nota inviata dal Ministero e che invitava all’attività di verifica e valutazione, anche in previsione degli Esami di Stato: «Mi chiedo che cosa sia veramente prioritario in questi giorni? Le interrogazioni, le verifiche, gli esami? Non è forse la vita stessa, gli affetti, le relazioni, la salute fisica, mentale e sociale? Per molti anche il lavoro e la tenuta del tenore di una vita normale.
La morte sta entrando nelle nostre case. Non possiamo seppellire neanche i nostri cari. Non possiamo neanche dare sfogo al nostro dolore.
Perciò, cara Ministra, non per sminuire il suo lavoro, ma le voglio dire che se torneremo, saremo stati già promossi. Promossi dalla vita e dal sacrificio. Ma mi consenta di dire che saremo stati promossi anche dal coraggio!». Non voto, quindi, ma colloquio sui testi assegnati e restituiti individuando i punti di forza e di debolezza. Far diventare le “verifiche” un dialogo costruttivo, di maturazione di idee, di crescita.


4. Il tempo e la scuola

Questo tempo straordinario ci ha spinto a comportarci in modo “ordinario”, mantenendo i contatti, restando punti di riferimento, gioendo nel rivedere i volti degli alunni, affidando loro anche un testo da scrivere, una riflessione da fare. Ma la scuola è altro. La scuola è innanzitutto incontro, occhi che si guardano (non dietro uno schermo), movimenti istrionici di mani e corpo del docente, contatto, comunità ermeneutica dialogante. Anche con gli strumenti informatici, certamente, ma come mezzo da utilizzare e non come soggetto che orienta le nostre giornate. La scuola è un luogo inattuale in cui alla fretta e alla iperconnessione si sostituisce la lentezza delle ore, la parola, lo stare seduti, la lettura. E questo, che sembra cosa antica e inutile, è proprio la sua forza, il suo essere ALTRO rispetto al tempo consumato e consumistico, e altro anche rispetto all’ordinario tempo libero. È un tempo pienamente liberato dall’economico e dal tecnologico nella sua assoluta “inutilità” e “inattualità”, un tempo in cui invitare al pensiero lento.
Tutto questo a cui assistiamo noi, pur nella sua importanza, non sostituisce il contatto dell’aula, la presenza fisica dei corpi nello spazio stretto della scuola. Ma siamo in tempi straordinari. Tornerà anche il tempo dell’aula e forse, chissà, rimpiangeremo questi giorni di “libertà” dagli impegni orari, rimpiangeremo il tempo vuoto della mattina. Io no. Questi giorni sono una pausa. Una pausa dall’incontro, come quando, da ragazzi, si scriveva all’amata lontana dicendo “non vedo l’ora di rivederti”.


5. Gli strumenti

Ma non c’è il rischio che si formi una nuova divisione tra gli studenti? Tra chi ha i mezzi per seguire le lezioni (linea, strumento, giga) e chi non ce l’ha? Questo aspetto è risolvibile solo se la scuola si attiva per fornire in comodato d’uso i suoi strumenti a chi è svantaggiato e se subito si ricorre ai fondi ministeriali per aiutare chi è più in difficoltà nell’affrontare le spese anche solo di connessione.
C’è ovviamente il problema legato alla linea (quante volte i miei studenti devono disabilitare la telecamere perché la connessione è instabile o anch’io quante volte sono in difficoltà perché ci sono 5 strumenti connessi contemporaneamente sulla linea wifi), ma su questo possiamo poco. Possiamo solo auspicare che le compagnie telefoniche (alcune lo hanno fatto) si facciano carico del problema.


6. Rischi e prospettive

Qual è il rischio che io vedo in questi giorni? Il primo: dire che tutto va bene e/o inoltrare circolari che perpetuano il modello scuola (riguardante orario, valutazione, spiegazioni, esami…) come se nulla fosse cambiato, come se insomma lo smart working fosse cosa naturale e giusta (quasi da riproporre anche una volta terminata l’emergenza) anche per il mondo della scuola.
Secondo punto: l’emergenza ha fatto mettere in campo tante energie, tante proposte belle e che potranno anche continuare nel tempo. Il pericolo che incombe è l’iperconnessione. Faccio l’esempio della mia casa: mia moglie è in video con le classi alle 8:00; io e  miei 2 figli grandi alle 9:00; mio figlio piccolo alle 9:30. Ci sono momenti in cui siamo tutti connessi in cinque stanze diverse e non ci vediamo che a pranzo.
La preoccupazione sta nella difficoltà che proverò, che proveranno i miei figli nel tornare alla normalità. Più passa il tempo e più mi sembra difficile una ripresa tranquilla, naturale, normale. Troppo tempo connessi, troppo tempo in videochiamate. Questo tempo che doveva essere "liberato" (dalla fretta, dal consumo, dedicato a noi stessi e alla nostra interiorità), si è trasformato invece in tempo "consumato" (dalla paura, dalla noia, dalla iperconnessione). Nulla è cambiato nelle nostre vite se perpetuiamo (nel chiuso della casa) quello che facevamo fuori, nel tempo libero delle nostre giornate, nel tempo libero dal lavoro ma legato a filo doppio al consumo e alla produzione. E così quando tutto sarà finito, perché finirà, si dovranno ricreare situazioni, si dovranno superare i timori che queste settimane hanno creato, una sorta di nuova educazione allo sguardo, all’incontro. Si farà fatica a darsi la mano, a toccarsi. Come bambini dovremo reimparare a fidarci, a buttarci all’indietro tra le braccia di un genitore, dovremo riabituarci al tempo scandito dalla campanella.

Mentre scrivevo questo pezzo un collega mi ha inviato un articolo de ilSole24ore che affronta gli stessi argomenti. Mi sembra giusto condividerlo.

E gli esami? Gli esami si faranno, in qualche modo (appaiono già le prime proposte), perché si sa, gli esami non finiscono mai.



(pubblicato su Totem Magazine il 4.04.2020)