Ricevere
lettere è a volte rivivere, come un lampo, degli incontri: ecco che
ti rivedo, gli occhi, i capelli, il sorriso, le parole.
C’è
qualcosa che manca, però, sempre. Quelle mani “sorprese a cercare
le mani”, quel vivere senza timore, inconsapevole, il colloquio, le
cose dette e da dire, tutto quello che ancora avrei voluto
condividere e di cui avrei voluto parlare. Mi manca un pezzo, tutto
quello che non ho vissuto e condiviso, il tuo tempo diverso: porto,
nel cuore, nella mente, in un luogo importante dentro di me, delle
immagini e l'idea che dovunque sarai tu, dovunque sarò io, in
qualche modo c'è un filo rosso che ci lega, che la distanza
(qualunque sia) non può spezzare. Ma anche questo è un inganno:
qualcosa ci divide, una striscia nera nei volti sulle fotografie (e
insieme non ne abbiamo nemmeno), altro tempo che frastorna la mia
vita, la tua vita.
Dove
scorre la vita…. Non so. Troppe sorprese riserva, naufragi e
improvvise salvezze, un dolore che spezza il petto e la gioia
infinita che ci fa sospirare. Dove porta questo tempo? Dove ci
conduce? Di là da noi stessi o ancora di più in profondità, nella
frattura che ci fonda, nel nostro essere più vero?
Mi
perdo spesso in qualcosa che non sono io: troppi impegni, troppa vita
da gestire e il tempo che corre via senza che riesca a farlo mio. Lo
ritrovo, d'un tratto, nelle parole di lettere che arrivano da
lontano, lo afferro nella penombra mentre leggo al computer l'e-mail,
ritrovo il dove e il quando, la ragione di una scelta, il viaggio
interrotto che è diventato altro (è diventato viaggio nel mio
passato e nel mio futuro oltre me stesso, attraverso nuova vita,
attraverso vecchie voci che ritornano e ridanno ragione di una
scelta).
La
vitalità a volte manca, mi perdo in pensieri oziosi, meglio, mi
perdo nel pensiero primo, nel puro pensare che è fuga dall'essere
qui e ora. Mi manca, a volte, la vita che va, il viaggio, il mondo
che ho percorso (quanta strada, scarpe rotte e calli sui piedi) e che
ora non sempre ritrovo in visi ottusi, chiusi allo stupore, alla
meraviglia del mondo. Per fortuna solo a volte. Poi ritrovo quegli
occhi che sono quelli, l’immagine logica che mancava, il sorriso
stupito, quegli occhi, e continuo, testardo, a sperare in un mondo
migliore.
Ancora
qualcosa: continua la ricerca, questo furioso cercare, perdersi,
ritrovarsi. Non bisogna smettere mai il contatto con l'altro, lo
scambio (come nel teatro, quando ci si scambia la pelle, ci si salva
a vicenda), non smettere di scrivere. Anche in quei giorni difficili,
quando il sogno fatto continua ad essere reale ancora per qualche
attimo e si fa fatica a risintonizzarsi con la realtà. Sono sogni
strani: a volte riportano volti dimenticati del passato, a volte
annunciano insidie, consegnano paure. Lentamente si ritorna alla vita
quotidiana ed il sogno, poco a poco, svanisce. Rimane solo un alone,
come quei mal di testa che anche se vanno via persistono con una
pressione lenta, a ricordarti che torneranno.
A
volte sono imperdonabile, mi perdo nel tempo, in cose oziose,
dimentico le cose più belle, il contatto con gli amici, le parole,
il conforto (niente di più importante fa l'uomo, davvero). È che a
volte mi perdo nell'inutile pensiero, nel pensiero primo, quello che
contempla se stesso e non agisce.
Il pensiero che giudica e
riflette, quello che guarda in profondità le cose, che sa ancora
stupirsi delle meraviglie del mondo, lo sguardo bambino che accarezza
il mondo, ecco, è questo pensiero secondo che cerco (ma a volte è
davvero difficile). Ma in fondo non c'è niente di nuovo: questo
continuo cercare ponti, legami tra zattere che procedono solitarie
nel mare del nord. Mi chiedo spesso cosa sarei senza gli alunni e
senza i miei figli e mia moglie.
Il
mio rapporto con i ragazzi, anche quando mi arrabbio, è davvero
irripetibile. Ci sono io per loro o ci sono loro per me? Chi è lì
per chi, io per i ragazzi o loro per me? Insieme, l'uno per l'altro,
come sempre, mi dico. Ma in alcune mattine, ripensando agli alunni
passati, il sospetto che forse ero io ad aver più bisogno
di quel contatto, contrariamente a quel che si potrebbe pensare,
perché capita che mi manchino. Ma è quando mio figlio Michele non
mi salta addosso e non mi chiede una storia, quando mio figlio Giulio
non mi sorride, quando mia moglie è indaffarata in altro per
pensare a me, oppure è domenica, con le strade vuote, la neve che
copre tutto, un cielo grigio con un sole che va e viene sempre molto
incerto… Allora davvero mi sento lontano da me.
Testo pubblicato su «soglie», aprile 2005.