domenica 22 febbraio 2015

Lontananze


Ricevere lettere è a volte rivivere, come un lampo, degli incontri: ecco che ti rivedo, gli occhi, i capelli, il sorriso, le parole.
C’è qualcosa che manca, però, sempre. Quelle mani “sorprese a cercare le mani”, quel vivere senza timore, inconsapevole, il colloquio, le cose dette e da dire, tutto quello che ancora avrei voluto condividere e di cui avrei voluto parlare. Mi manca un pezzo, tutto quello che non ho vissuto e condiviso, il tuo tempo diverso: porto, nel cuore, nella mente, in un luogo importante dentro di me, delle immagini e l'idea che dovunque sarai tu, dovunque sarò io, in qualche modo c'è un filo rosso che ci lega, che la distanza (qualunque sia) non può spezzare. Ma anche questo è un inganno: qualcosa ci divide, una striscia nera nei volti sulle fotografie (e insieme non ne abbiamo nemmeno), altro tempo che frastorna la mia vita, la tua vita.
Dove scorre la vita…. Non so. Troppe sorprese riserva, naufragi e improvvise salvezze, un dolore che spezza il petto e la gioia infinita che ci fa sospirare. Dove porta questo tempo? Dove ci conduce? Di là da noi stessi o ancora di più in profondità, nella frattura che ci fonda, nel nostro essere più vero?

Mi perdo spesso in qualcosa che non sono io: troppi impegni, troppa vita da gestire e il tempo che corre via senza che riesca a farlo mio. Lo ritrovo, d'un tratto, nelle parole di lettere che arrivano da lontano, lo afferro nella penombra mentre leggo al computer l'e-mail, ritrovo il dove e il quando, la ragione di una scelta, il viaggio interrotto che è diventato altro (è diventato viaggio nel mio passato e nel mio futuro oltre me stesso, attraverso nuova vita, attraverso vecchie voci che ritornano e ridanno ragione di una scelta).
La vitalità a volte manca, mi perdo in pensieri oziosi, meglio, mi perdo nel pensiero primo, nel puro pensare che è fuga dall'essere qui e ora. Mi manca, a volte, la vita che va, il viaggio, il mondo che ho percorso (quanta strada, scarpe rotte e calli sui piedi) e che ora non sempre ritrovo in visi ottusi, chiusi allo stupore, alla meraviglia del mondo. Per fortuna solo a volte. Poi ritrovo quegli occhi che sono quelli, l’immagine logica che mancava, il sorriso stupito, quegli occhi, e continuo, testardo, a sperare in un mondo migliore.

Ancora qualcosa: continua la ricerca, questo furioso cercare, perdersi, ritrovarsi. Non bisogna smettere mai il contatto con l'altro, lo scambio (come nel teatro, quando ci si scambia la pelle, ci si salva a vicenda), non smettere di scrivere. Anche in quei giorni difficili, quando il sogno fatto continua ad essere reale ancora per qualche attimo e si fa fatica a risintonizzarsi con la realtà. Sono sogni strani: a volte riportano volti dimenticati del passato, a volte annunciano insidie, consegnano paure. Lentamente si ritorna alla vita quotidiana ed il sogno, poco a poco, svanisce. Rimane solo un alone, come quei mal di testa che anche se vanno via persistono con una pressione lenta, a ricordarti che torneranno.


A volte sono imperdonabile, mi perdo nel tempo, in cose oziose, dimentico le cose più belle, il contatto con gli amici, le parole, il conforto (niente di più importante fa l'uomo, davvero). È che a volte mi perdo nell'inutile pensiero, nel pensiero primo, quello che contempla se stesso e non agisce.
Il pensiero che giudica e riflette, quello che guarda in profondità le cose, che sa ancora stupirsi delle meraviglie del mondo, lo sguardo bambino che accarezza il mondo, ecco, è questo pensiero secondo che cerco (ma a volte è davvero difficile). Ma in fondo non c'è niente di nuovo: questo continuo cercare ponti, legami tra zattere che procedono solitarie nel mare del nord. Mi chiedo spesso cosa sarei senza gli alunni e senza i miei figli e mia moglie.


Il mio rapporto con i ragazzi, anche quando mi arrabbio, è davvero irripetibile. Ci sono io per loro o ci sono loro per me? Chi è lì per chi, io per i ragazzi o loro per me? Insieme, l'uno per l'altro, come sempre, mi dico. Ma in alcune mattine, ripensando agli alunni passati, il sospetto che forse  ero io ad aver più bisogno di quel contatto, contrariamente a quel che si potrebbe pensare, perché capita che mi manchino. Ma è quando mio figlio Michele non mi salta addosso e non mi chiede una storia, quando mio figlio Giulio non mi sorride, quando mia moglie è indaffarata in altro per pensare a me, oppure è domenica, con le strade vuote, la neve che copre tutto, un cielo grigio con un sole che va e viene sempre molto incerto… Allora davvero mi sento lontano da me.


Testo pubblicato su «soglie», aprile 2005.