sabato 19 dicembre 2015

Animal


1. Anima. Nella profondità degli occhi vedevo la sua anima che mi parlava di affetto, di dolore, di perdita. Il mugolio saliva dal profondo. Trattenuto fino a quel momento esplose come un grido. Era una richiesta a cui non potevo rispondere, non più.
Nei lunghi giorni estivi precedenti quel momento eravamo stati tanto insieme, troppo forse, C'è un'abitudine nel condividere giorno dopo giorno le ore, che fa credere che quei momenti non finiranno mai, che l'affetto, l'amore, le carezze dureranno per sempre. Non è così, non è mai così.
Un uomo, un ragazzo se ne fa una ragione, l'inverno riporta i ritmi della vita, la routine quotidiana spegne il ricordo del sole estivo, delle corse, dell'odore dell'erba, tanto più per me che vivevo in città, nel ventre accogliente della bestia, alle prese con i primi umori dell'adolescenza.
Ma lei... Lei non poteva rassegnarsi. Lei che sarebbe rimasta lì, per sempre. Questo diceva quel grido, tutto il rimpianto per ciò che era andato perduto, tutto l'amore che, nonostante tutto, continuava immutato, E niente sarebbe più stato come prima, anche se fossi tornato l'anno seguente e quello dopo ancora.
Piangeva? Non so dirlo, perché a quel punto Yuba venne chiusa da mio nonno nella stanza in basso, da dove proseguì il suo guaito, il suo pianto disperato. Nella notte in cui stavamo partendo, nel silenzio della villa, quel pianto era atto d'accusa all'abbandono. Ma quale abbandono se anch'io ero straziato? Io, che non avevo mai avuto un cane (se non un cucciolo di cane lupo per un breve periodo prima di regalarlo a mio zio, Katmandu l'avevamo chiamato), io che non avevo mai avuto un gatto o un pesce rosso...
No, in città, nelle strette stanze di una famiglia numerosa non poteva trovare posto un animale. Non solo per noi, come ripeto oggi anche ai miei figli, ma anche per lui. Un animale deve essere libero di correre, di vivere all'aria aperta, non recluso in un appartamento. Eppure, come oggi mio figlio, io quell'aspetto proprio non lo capivo. L'avrei voluto portare con me, condividere i miei pomeriggi, abbracciarla.
Mentre la macchina si allontanava, al grido di Yuba rispose il verso del cuculo ed un singhiozzo. Poi più nulla.


2. La macchina correva su una strada percorsa tante volte. La serata era stata piacevole, eravamo stati a Caserta per uno spettacolo. I pensieri lievi, le chiacchiere liete nel ritorno notturno a Benevento. Nessun pensiero grave pesava sugli animi, nessuna rabbia o violenza nelle nostre parole. Si scherzava, come altre volte. Sul sedile di dietro Enzo sonnecchiava.
Fu un attimo: un cane fermo, in mezzo alla strada, bloccato dalle luci improvvise dei fari, guardava senza potersi allontanare, senza voce, nel silenzio, nessun avvertimento urlato. C'era solo quel “no” ripetuto di Domenica che mi sedeva a fianco.
Avrei potuto fare qualunque cosa: frenare, sterzare, anche solo rallentare. Niente di tutto questo, solo guardare quel cane urtare dolcemente la macchina in corsa e solo dopo fermarmi, inutilmente, quando tutto era già avvenuto, quando non c'era più niente da fare se non guardare quel corpo sull'asfalto e maledire la mia incapacità.

In silenzio sono risalito in macchina, in silenzio sono ripartito. Rimaneva indietro una macchia di sangue sull'asfalto, un'ombra scura a bordo strada. Nei pensieri il ricordo di un altro cane che guaiva.

lunedì 7 dicembre 2015

C'è qualcuno che bussa



1) 
Mi sembra di comprendere, ora,
quel grumo di sabbia
che danza davanti agli occhi.

Le macerie accumulate, lo strapiombo
a picco sul mare, burroni,
crepe invisibili. Il vuoto.

Vuoto di parole - troppe
già dette e più niente
che resta - se non un ricordo.


2)
È questo il tuo tempo,
quello che incontri
tra il non più e il non ancora,
nel silenzio dei colori,
quando anche il tuo paese
appare bello alla distanza
dello sguardo che lo vede
per la centesima volta 
(l'infanzia, il dolore di carezze
non avute, il vuoto di desideri
irrealizzati), quando l'ostacolo
delle parole non tocca più
i pensieri, tutto è stato già fatto,
e non c'è (ancora) il rischio,
l'errore di essere fraintesi.

In questo tempo sospeso
giungo anch'io
                            per incontrarti.


3)
Ballavi in cima al baratro, fanciulla
ballavi tra gli alberi scomposta
e la pioggia confondeva sul viso
i colori, le lacrime.

(Salvare i tuoi resti dal tempo,
strappare dalla bocca del leone
un sorriso, uno sguardo o un bacio).

Oppure i tuoi capelli perduti
sull'orlo del pianto, l'incanto
del tuo camminare in equilibrio
sul ponte, e di nuovo specchi infranti...

(Cosa resta del giorno se non
le parole, l'abbraccio negato
sul far della sera, la chimera
del vivere ancora, soltanto).

Ma tu non ci sei, non qui tra l'urlìo
della città diversa, dimentichi 
di noi, se non appari più improvvisa
nei volti, nei gesti di chi passa,
e non c'è traccia da seguire,
non ci sei nella torma di pensieri,
crollata, infine, leggera nel vento...


4)
L'odore è quello di erba nuova,
noi chiusi dentro, il sole negli occhi,
oscuriamo porte e finestre, restano
i corpi, volano parole.
Il cuore pulsante di Orfeo
batte il tempo del nostro umore,
si apre il sorriso ad ospitare 
mondi (il mare lontano è qui),
creiamo brecce nel nostro scontento.
C'è chi va, chi torna, chi scompare,
travestiti di niente, solo ombra divina,
la ricerca di sé tra sedie e palline,
il sorriso, il pianto, la fine.
Noi restiamo. Poi qualcuno che va via.


5)
Piove. E questa pioggia che cade
è come le tue dita sul viso.

L'incontro è la parola sulla pelle,
il taglio, come quel bacio mancato,
ma lì, dove s'incontrano le nostre bocche,
nel verbo che resta nell'aria amara,
ostinati all'intreccio di cuori,
anche quando tutto affonda.

Giulio ricordi? Il concerto
poi pozzanghere ed acqua nera,
la libertà per me nell'aria di Napoli.

Ma è qui, nell'aria scura del giorno
mancante di te che ritrovo un sapore
salato, con la pioggia che cade,
ed io grigio nel grigio, sfatto,
una cosa perduta, per sempre, per sempre...


6)
C'è qualcuno che bussa,
piano, alla finestra, non tu.
Scomparso tra la pioggia,
veloce, ma non era quel che volevo
dire. Piuttosto l'odore di marcio,
bottiglie sparse sull'erba,
i resti del nostro scontento.
È accidia, invidia, è sorte...
                                                  morte?
Nemmeno quello però mi salva
lo sguardo tra la nebbia, l'albero cavo,
le mani tra la terra, le forbici,
il rastrello. Non basta il quotidiano
raschiare, bruciata la passione
resta cenere da raccogliere.

Ricostruire ancora, ma dove?
Affondo nella sabbia, il tuo profilo...


7)
Prigioniero. Fermato sui fogli
ritrovo quell'attimo, lo sfogo,
le lacrime, il sorriso... E poi
sparito insieme al viso.
il mio, il tuo, le corse sulla neve,
la prima per me, lo schiaffo
in faccia e la paura, le corse
per la città sonnolenta, il ponte
all'alba... Ma tutto si confonde,
tu e lei, come riflessi sul vetro,
e non so più chi resta ancora
nella memoria sfatta e chi scompare.


(2013-2015)