11.3.2020 h. 19.52
Sono giorni strani in cui ho in mente tre parole: cura, sacrificio, responsabilità.
Cerco di trasmetterle ai miei figli, ai miei alunni, perché forse questo resterà quando tutta sarà finito. La cura l'uno dell'altro, il sacro nel sacrificio, la responsabilità delle azioni. Intanto lavoro per mantenere i contatti con i miei alunni, per fargli sentire che sono qua, che mi pre-occupo di loro: videoincontri, registrazioni, chat.
Non conto più le ore passate al computer, la mia finestra sul mondo.
Quando tutto sarà finito vorrò solo stringere mani, guardare occhi.
12.3.2020 h. 21.30
È una lotta continua, in famiglia, con mio figlio Michele. Cerco di spiegargli la necessità della cura e del sacrificio (sulla responsabilità non parlo), ma sembra che gli importi poco. Dice che ha bisogno di uscire, che altrimenti gli viene la depressione, che deve fare una passeggiata da solo, prendere aria. Gli dico di uscire sul balcone a prendere aria e pensare ai rischi, non suoi, ma che può arrecare ad altri.
È una lotta in cui non c'è vincitore e non c'è vinto, perché ognuno resta della sua idea, perché ognuno abbandona il dialogo per affermare la propria autorità, perché ognuno resta male, io perché non sono riuscito a fargli comprendere le mie ragioni, lui perché ritiene che io non abbia capito le sue motivazioni.
Mi addolora vederlo perdere tempo, passare le ore a non fare niente se non chattare con i compagni, poco tempo sui libri, mi addolora e mi scoraggia la sua scarsa attenzione alle parole che dico.
13.3.2020 h. 8.05
Esco per buttare la spazzatura e fare la spesa. A giorni alterni ci dividiamo i compiti con mia moglie. La città è vuota, i negozi sono chiusi. Pochi passanti che come me vanno veloci evitando la vicinanza e che, come me, hanno uno scopo chiaro (salute, lavoro, necessità). Qualche macchina, un pullman vuoto.
A me non dispiace la città vuota, il silenzio che costringe a fare attenzione, a pensare (è maggiore il rumore a casa tra video incontri miei o di mia moglie, lezioni, musica e chat dei ragazzi, televisione o radio, non c'è tempo per il silenzio). Mi porta a pensare ad agosto, quando la città si svuota e i negozi sono chiusi e si può camminare senza i fumi delle auto e il rumore delle attività. Ci sono solo le molte macchine parcheggiate a ricordare che non siamo in estate.
Bisognerà ripensarci quando tutto sarà finito, quando torneremo alle nostre attività quotidiane e questo tempo ci sembrerà uno sbiadito ricordo. E forse questo tempo ci è dato proprio per ripensare a noi, al nostro interno (personale e familiare) così da recuperare quella integrità che perdiamo nei giorni uguali del lavoro e della corsa, dimentichi e sonnambuli.
Intanto mi affretto a tornare dopo la spesa: c'è un video-incontro organizzato alle 9:00.
h. 19.58
Mio figlio vomita. Nel clima di paura creato dal contagio si cerca di capire se possa essere un segno di presenza del virus. Non ha la febbre, per fortuna, ha solo esagerato con chat e telefonino, cosa che gli ha procurato mal di testa e spossatezza.
Il clima di paura genera anche rabbia, risposte scomposte alle domande.
Restare chiusi tre giorni senza uscire provoca reazioni violente, grida, una rabbia che esplode senza freni, una scostumatezza che non conoscevo nei miei figli e che mi lascia sgomento.
C'è anche un lato di orrore quotidiano in questi arresti domiciliari, le piccole cose insignificanti nella vita quotidiana diventano macigni insormontabili in questi tempi.
Finirà, mi dico. Ma intanto mi chiedo se non sia in fondo anche un bene questo esplodere di reazioni come sfogo alla paura, al "carcere" della vita familiare.
14.3.2020 h. 16:43
È faticosa la vita di questi giorni in cui l'unico momento di "svago" è la spesa quotidiana. Ieri mi sono affacciato al balcone alle 18:00. Mi aspettavo una folla sui balconi circostanti, un momento di rivalsa contro la paura, per il flashmob sonoro. C'ero io.
Stamane per strada nessun pensiero: la mente era libera di vagare in un clima primaverile, finiti, per la settimana, video incontri, correzioni, video da inviare. Tra coloro che si conoscono ci si saluta dalla distanza. Per via Pretoria anche chi passeggia insieme lo fa sui due lati opposti della strada. Questo parlare di fianco, mentre si cammina e non ci si guarda negli occhi, ha un suo fascino, sono le parole ad assumere peso, non il contatto fisico, gli occhi.
Mi ripeto come un mantra che torneremo a guardarci negli occhi e che quella parte che manca tornerà a combaciare, quel vuoto che sentiamo tornerà a riempirsi.
h. 22:00
Il cielo è terso, vedo di fronte a me Orione. Nel buio serale le stelle e le luci di una città che alle 9 di sera già sembra addormentata.
15.3.2020 h. 22:11
Ieri il silenzio serale era rotto solo dalla macchina che annunciava pene per i trasgressori dei decreti dello Stato. Oggi niente. L’abbaiare dei cani (come ogni sera), qualche rara macchina.
Il sabato è trascorso senza la musica ed il vociare dei ragazzi per strada, la movida del nostro fine settimana. Nessuna voce, nessun nome gridato. La domenica non è stata diversa, così lontana da quelle dei mesi passati, trascorsi tra Montereale e le partite di basket dei miei figli. Quanto tempo sembra già passato dalla routine delle palestre, dei viaggi in pullman ad accompagnare la squadra nelle trasferte. Tutto passato, tutto dimenticato.
Eppure il tempo che mi mancava ieri mi manca anche oggi: c’era quel libro che dovevo leggere, ancora lì sul comodino, il riordino dei fogli di ricordi, le cartelle del desktop, gli appunti… È che io lavoro meglio quando sono più oppresso da cose da fare. Oppure no, è che non so godere di questo spazio interiore ritrovato, non so sorridere del tempo “inutile”… Pensieri in libertà, come se aspettassi qualcosa, un vento impetuoso, il temporale o la calma improvvisa di un tramonto.
16.3.2020 h. 21:23
C’è una nuova quotidianità che ha sostituito quella di solo una settimana fa. Ci si abitua a tutto? Le giornate trascorrono tra l’uscita mattutina per la spazzatura e la spesa, i videoincontri con le classi, preparare le lezioni e i materiali, libri e tv. Manca l’incontro, di cui questi incontri a video sono un’ombra, ma sono l’unico modo che abbiamo, che ho, per mantenere il rapporto con i miei alunni.
Stasera mia figlio mi ha chiesto di uscire. Siamo andati al supermercato a fare la spesa che volevo rimandare a domani. Camminiamo distanti per strada, il che è un controsenso, vista la vicinanza a casa. Al supermercato una nuova disposizione: si devono indossare i guanti monouso forniti da loro e si può entrare solo un componente per famiglia. Va bene, tanto siamo usciti solo per prendere aria. Va lui a comprare qualcosa e poi torniamo lentamente a casa. Dieci minuti di aria serale potentina. Poi si torna alla quarantena. Di questo, forse, dovrò parlare: dei rapporti familiari che in parte si deteriorano (dove ho sentito che in Cina, finita la quarantena, sono esplose le richieste di divorzio?). ma sarà per un’altra volta.
17.3.2020 h. 21:25
Mi sono accorto che tendo a creare altre abitudini, come questa della scrittura sempre alla stessa ora. La mente ha bisogno di agganciarsi a cose certe e le ripetizioni di gesti e pensieri durante la giornata aiuta a ristabilire quella quotidianità perduta.
C'è un clima di untori, di caccia alle streghe che non mi piace. Leggere i social è come entrare nell'inferno del mondo, la parte peggiore che viene fuori con notizie incontrollate, fake news, una atmosfera da maccartismo con persone buttate in piazza alla gogna.
Ma c'è anche del bello tra i tanti messaggi, parole di speranza, di resistenza, di amore vero. Cerco quelle, tra le mille che ogni giorno sfoglio, mi carico come una pila di sensazioni positivi per non cedere alla paura. E mi ripeto le parole di Marco Polo ne Le città invisibili di Italo Calvino: "L'inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n'è uno, è quello che è già qui, l'inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l'inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e approfondimento continui: cercare e sapere riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio".
(Testi pubblicati, con modifiche, su Cronache di una pandemia, in Totem magazine, https://www.totemmagazine.it/)

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