sabato 28 marzo 2020

Diario ai tempi del Coronavirus (24-28 marzo)



24.03.2020 h. 15:26

Sono giunto ad un accordo con mia moglie: se lei non può uscire in mattinata per fare la spesa a causa delle videolezioni, uscirò io. È inutile preoccuparsi per me, d’altra parte anche se il virus dovesse contagiare lei non ci sarebbe differenza, lo porterebbe a casa.

Le persone fanno maggiore attenzione per strada. Me ne accorgo quando scendo a fare la spesa alle 12:30. Poche persone per via Pretoria (avrò visto al massimo 10 persone) e tutte che camminano con gli occhi bassi e le mascherine. Si evita qualunque tipo di contatto, anche quello visivo. Se qualcuno si incrocia tende a mettere il maggiore spazio possibile tra sé e l’altro addossandosi al muro opposto. Le distanze che si tengono con chi ci sta davanti sono di almeno 5 metri. Il pericoloso, l’altro, il diverso, lo straniero è chi non appartiene allo stretto nucleo familiare, quello con cui conviviamo quasi 24 ore al giorno. Solo nella tana-casa c’è sicurezza, il fuori è un mare tempestoso e spaventoso dove andare solo per stretta necessità e per il minor tempo possibile. La paura crea distanze fino a ieri inimmaginabili, facendo mutare anche il nostro atteggiamento sociale, i nostri comportamenti più semplici.

Quando tutto sarà finito, perché finirà, si dovranno ricreare situazioni, si dovranno superare i timori che queste settimane hanno creato, una sorta di nuova educazione all’incontro. Si farà fatica a darsi la mano, a toccarsi. Come bambini dovremo reimparare a fidarci, a buttarci all’indietro tra le braccia di un genitore.


25.03.2020 h. 20:15

Le parole che ci scambiamo con gli alunni sono indicative di un sentimento comune di frustrazione e anche di una certa stanchezza di questi giorni tutti uguali passati in casa: marcire sul letto; sentire le carni che si decompongono… Anche per questo ho proposto ad alcuni di loro un esperimento sociale. A gruppi d 4/5 vedersi in serata per condividere immagini (foto, quadri), musica (suonando uno strumento o mettendo su una musica), parole (da libri o proprie). Un racconto per frammenti della propria vita, dei propri interessi, dei sogni e delle paure. Per un’ora a settimana rompere il muro del silenzio e della solitudine. Ho pensato anche al nome: Vicinitudini, che ha insieme l’idea dell’essere vicino ma anche delle solitudini e, perché no, delle vicessitudini della nostra vita che proviamo a raccontare.


26.03.2020 h. 23.59

La neve di ieri ha lasciato il posto ad una pioggia continua, triste, che segna l'animo. 
Ho passato tutto il giorno al computer e sento la stanchezza negli occhi, nelle braccia, nella testa. Tutto è silenzio. Ma non è un cambiamento rispetto al mattino o al pomeriggio, rispetto a ieri. Tutto è silenzio. 
Ripenso a come aspettavo la neve da ragazzo e, ancora, ai giorni di neve qui, le passeggiate a Montereale, le palle di neve coi ragazzi. Fuori intanto ha smesso di piovere. Abbaiano cani nella notte.





27.03.2020 h. 23.05

La quarantena obbligata ha lati positivi e lati negativi. 
Ci sono esplosioni improvvise di rabbia, risposte date di cui pentirsi immediatamente. Passiamo troppo tempo con i dispositivi elettronici, me ne rendo conto, soprattutto per scuola. Ci sono però anche aspetti piacevoli: inviti al pensiero con vecchi amici; chiacchierate in video con chi non sentivi da tempo; testimonianze da un tempo passato e abbandonato. 
La memoria si deteriora, spesso si dimentica ciò che è stato (anche naturalmente visto che la vita va avanti). Allora questi giorni sono una lezione sull'attenzione, attenzione proprio sulla memoria che, per quanto insufficiente, ci servirà per ricordare quel che è stato. Attenzione alle cose piccole e insignificanti che ci circondano. Attenzione a chi ci è accanto. Ritroviamo parole, oggetti, libri abbandonati.
E così riscopriamo anche vecchi giochi: Scarabeo, Master Mind. E vecchi oggetti non più usati come una caffettiera napoletana con cui riassaporare un caffè di altri tempi.
Le piccole gioie di questi giorni bui.



28.03.2020 h. 15:54

Su che cosa mi interpellano le parole del Papa ascoltate ieri, da me senza fede alcuna, persa nei miei vent'anni e mai più ritrovata. In cosa colpiscono l'animo? C'è qualcosa in quel discorso che mi chiama e mi inquieta (e da lì forse conducono al disvelamento, all'αποφαινεσθαι):

"Fitte tenebre si sono addensate sulle nostre piazze, strade e città; si sono impadronite delle nostre vite [...]. Ci siamo trovati impauriti e smarriti. [...], tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, [...] tutti bisognosi di confortarci a vicenda. [...] La tempesta smaschera la nostra vulnerabilità e lascia scoperte quelle false e superflue sicurezze con cui abbiamo costruito le nostre agende, i nostri progetti, le nostre abitudini e priorità. [...] In questo nostro mondo, [...] siamo andati avanti a tutta velocità, sentendoci forti e capaci in tutto. Avidi di guadagno, ci siamo lasciati assorbire dalle cose e frastornare dalla fretta. Non ci siamo fermati [...], non ci siamo ridestati di fronte a guerre e ingiustizie planetarie, non abbiamo ascoltato il grido dei poveri, e del nostro pianeta gravemente malato. Abbiamo proseguito imperterriti, pensando di rimanere sempre sani in un mondo malato ".

La nostra vita fatta di corsa, guadagno, superiorità, vittoria, maschera, imbellettamento. Ed ora, senza punti di riferimento, senza più quelle abitudini confortanti delle nostre vite, smarriti, perduti. E il mondo va avanti nel suo ciclo naturale, con la pioggia e la neve, gli alberi e la nebbia, il sole ed il vento. Senza preoccuparsi di noi, anzi forse un po' più pulito. E forse sarà proprio da questo nostro smarrimento, da questo perderci, dalla via interrotta del progresso che potremo ripartire. 
Più lentamente, col sentimento della vicinanza e del conforto.


(Testi pubblicati, con modifiche, su Cronache di una pandemia, in Totem magazinehttps://www.totemmagazine.it/)

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