In un'epoca non ben definita, José Arcardio Buendia e sua moglie Ursula Iguaran, insieme a un manipolo di sconsiderati, lasciano il villaggio natale di Riohacha esasperati dalle continue apparizioni del fantasma di Prudencio Aguilar, ucciso proprio da Jose' Arcardio Buendia per aver messo in dubbio le sue capacità sessuali.
Il gruppetto senza una meta precisa vaga per quasi due anni attraverso la Sierra Nevada de Santa Marta. La peregrinazione si ferma solo dopo un sogno fatto da José Arcadio Buendia: era la visione di un villaggio di case azzurre, costruite sulla riva di un fiume. Il manipolo di sconsiderati individua un luogo adatto, si ferma e fonda Macondo, villaggio destinato a conoscere, a fasi alterne, splendore e desolazione, prima di essere spazzato via per sempre da anni di pioggia e di vento.
In tempi molto più recenti, è ancora un fantasma ad agitarsi in altre menti. Menti non meno sconsiderate di quelle del manipolo al seguito di José Arcadio Buendia. Stavolta è il bel fantasma di un luogo, di un luogo dentro una piccola città, metri quadrati sui quali è corsa e si è rincorsa la storia di quella città, metri quadrati che nel tempo hanno visto alternarsi splendore e desolazione. Il bel fantasma del Parco di Montereale di Potenza è alimentato dai ricordi della generazione degli ultraquarentenni e da varie prove fotografiche che testimoniano i momenti di splendore di quel luogo.
Luglio 2012. Il Parco di Montereale è sul bordo pericoloso di una nuova ondata di desolazione, abbandonato ed esposto agli oltraggi dell'incuria e dell'inciviltà.
In questa desolazione si muovono, circolano, giocano bambini e ragazzini sicuramente meno fortunati dei loro genitori che, invece, hanno bene impresso nei loro ricordi il decoro, la dignità e la magia che avevano quelli stessi spazi sui quali oggi si relazionano e crescono i loro figli.
Forse c'è sempre bisogno di un fantasma per smuovere le menti e farne scaturire azioni. C'è sempre bisogno di un fantasma e di un sogno. Di un fantasma, di un sogno e di qualche mente sconsiderata per far nascere qualcosa di nuovo e di diverso. Di diverso non nelle azioni ma nella struttura del pensiero che le genera.
Il pensiero è quello contrapposto a chi si rinchiude nello stabilire una netta demarcazione tra il bene privato e il bene comune, una linea di confine sulla quale spesso si innalzano vere e proprie muraglie.
Il pensiero è quello contrapposto a chi rimane sempre in attesa, aspettando che a fare siano gli altri, rimanendo chiuso nei propri confini.
Il loro pensiero, di chi non sa andare ai propri antipodi, ha due facce: la prima faccia della medaglia è che la tutela degli spazi comuni è sempre di più una faccenda che tocca agli altri, esiste solo il diritto di fruirne e se si arriva sull'orlo della desolazione, magari contribuendo ad aumentarla, è sempre colpa degli altri. L'altra faccia della medaglia è l'attendismo imperante di chi è ben attento a curare i propri legittimi interessi sorvolando sul fatto che sono propri interessi anche tutto ciò che avviene fuori dall'uscio di casa propria.
D'altra parte bisogna avere in dotazione menti notevolmente sconsiderate, con vasti cortili per parlare, grandi finestre sul mondo e sul cielo e porte che fanno circolare aria e persone, se a un certo punto si decide in gruppo di abbandonare i propri rituali più o meno pagani della domenica mattina e dedicarsi a togliere i rifiuti lasciati dai partecipanti agli alcool-party della notte precedente o sotterrare le cacche dei cani degli altri (altri che molto carinamente continuano a lasciarle li' dove i loro cani le depositano) o ad armarsi di zappa, rastrelli, vanghe, carriole e cesoie e inventarsi un'aiuola di essenze aromatiche laddove stagnavano 10 centimetri di acqua putrescente e dove spuntavano ferri pronti ad infilzare la pancia di qualche bambino che in quell'acqua andava a recuperare il pallone che c'era finito dentro. Oppure a sollecitarsi simpaticamente la schiena per ripulire da immondizie decennali e dai rovi, che avevano coperto tutto, spazi che ora hanno tante possibilità di gradevole utilizzo.
Come potevano mai battezzarsi un gruppo di menti sconsiderate se non “P.A.Z. Popolazione Armata di Zappa”? Abbiamo anche scoperto che con una zappa tra le mani si riesce a comunicare e ad aprirsi con molta più facilita' o, come siamo più propensi a credere, il merito della buona riuscita della nostra esperienza è da attribuirsi alla condivisione spontanea di idee, di progetti e di modi di essere. Abbiamo scoperto che c'è anche una gioia nascosta nel vedere a poco a poco l'immaginazione trasformarsi in realtà, nel vedere la fatica ripagata da spazi aperti liberati dall'incuria di anni, nel sentire che l'impegno trova la propria realizzazione nella condivisione di cose e di parole.
E' cosi che le ore armoniose passate a dedicarsi alla cura del parco assumono un'elevata valenza relazionale: tra i P.A.Z. si sono ritrovate persone con alle spalle un passato in comune e altre capitate casualmente nel gruppo ma in tutte risiede una salda unita' di intenti e, se volete, un sogno.
E' universalmente riconosciuto che far nascere (o fondare), far crescere e prendersi cura di qualcuno o di qualcosa, sono azioni di igiene e di sanità mentale: quale cura migliore potevano trovare le menti sconsiderate che si sono imbarcate in questa scommessa, in questo sogno ad occhi aperti? Il nostro è un sogno (una cura) di lentezza che in un mondo superveloce diventa pratica rivoluzionaria. La lentezza delle ore passate alla cura del parco consente di percepire la complessità dei problemi, di relazionarsi pienamente alle cose che ci circondano e soprattutto di dedicarsi con attenzione all'altro, al suo ritmo, al suo respiro, al suo pensiero. Il nostro è un sogno di pausa e di intervallo, contro la fretta dell'arrivare, è un sogno del silenzio, contro le troppe vuote parole che ci circondano, è il sogno utopico della misura e del qui, contro tutti i seguaci dell'oltre, sempre impazienti, sempre di corsa. E' l'esercizio di osservare le cose da un altro punto di vista. Ne cerchiamo altre di menti sconsiderate, sia tra la gente comune che tra le Associazioni, perché di cose da fare, di progetti e di idee ne abbiamo tantissime, ma andrebbero disciplinate e programmate. Di tempo materiale ne abbiamo poco, ma quel poco, quelle ore strappate alla burrasca del quotidiano, al sonno aspettato con ansia della domenica, alle vigilie, alle battaglie, ai riti, al passeggiare diventa un tempo enorme per pensare, parlare, fare, condividere. Per questo chiunque sente di condividere questi pensieri e questo progetto o chiunque pensi di non aver mai dato troppo o anche chi crede di non aver più nulla da dare perché ha già dato abbastanza, ma anche chi crede che tanto non serve a niente o chi pensa che siano solo belle parole ci contatti...è una bella esperienza.
Primo manifesto P.A.Z. scritto da Giovanni Filiani e da me per l'Associazione Amici di Montereale nel settembre 2012.

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