29 aprile 2020 h. 10:40
L’azzeramento dei contagi ha fatto anticipare in città la fase 2 prevista dal 4 maggio. Me ne accorgo oggi uscendo a fare servizi alle 9:00. Tantissima gente per via Pretoria, chi butta la spazzatura, chi fa la spesa (in fila, in modo ordinato), ma anche chi passeggia soltanto con a fianco un amico. Quasi tutti hanno le mascherine, ma gli sguardi sono aperti, meno preoccupati di conseguenze pericolose, si intravede un sospiro di sollievo nascosto. La lunga quarantena, iniziata l’11 marzo, sembra allentarsi, sembra dare spazio di libertà al movimento, al tempo inutile della chiacchiera, al respiro sottratto al chiuso della casa, all’incontro anche se a distanza.
Io intanto faccio i miei servizi (spazzatura, spesa) e torno a casa. Continuo ad evitare l’ascensore: per salire e scendere faccio i 6 piani di scale, unico esercizio concesso in questo lungo tempo immobile. Oggi lo faccio due volte, devo ancora andare in garage a prendere la spesa che mia moglie lascia quando va a fare la scorta con la macchina al supermercato. Ne approfitto per percorrere il ponte di Montereale: il vento è liberatore, annuncia la solita primavera ritardata potentina, libera i polmoni, scompiglia i capelli, agita gli alberi. La natura afferma la sua presenza, il suo esserci al di là di noi. L’erba alta del parco ne è una prova, i fiori cresciuti senza essere calpestati un’altra.

In tutto sono stato fuori un’ora, ad assaporare questo tempo nuovo che sembra annunciarsi.
30.04.2020 h. 23:59
Dal 9 marzo. ultima volta in cui aveva fatto una passeggiata, mio figlio Giulio non era mai uscito. Oggi ha chiesto di scender giù nel portone. Se anche lui inizia, dopo più di 50 giorni in casa senza mai chiedere nemmeno di uscire fuori dalla porta, a chiedere di uscire, vuol dire due cose: che non ce la fa più e che, forse, anche la percezione intorno al virus sta cambiando.
In casa aspettiamo due cose: la nuova ordinanza sugli Esami di Stato, che forse finalmente metterà un punto fermo su modalità di svolgimento e punteggi, ed il 4 maggio, non tanto per il "libera tutti", quanto per vedere come cambierà l'umore, qui in casa e fuori.
Forse sta arrivando il momento di tagliarsi la barba.
01.05.2020 h. 19:44

Solo domande in questo primo maggio. Sul lavoro, sulla politica, sulla scuola, sull’uomo. La fragilità del sistema economico manifestatasi col coronavirus ci deve costringere a ripensare sia le nostre priorità che lo stesso modello lavoro verso il quale ci siamo indirizzati. Troppo presi dal fare ci siamo scordati del nostro essere nel mondo, dell’attenzione da dare all’ambiente e a noi stessi, il fare ha occupato tutti i nostri pensieri rendendoci dimentichi di tutto il resto. D’altra parte la passione smodata per il tecnologico, la merce, l’industrializzazione, gli oggetti, ci ha fatto perdere di vista il corpo, la foglia, lo sguardo. L’altro. Pensare l’altro. Avere sempre come riferimento il rapporto con l’altro. Perché ciò che facciamo ha un peso, conta.
«La pluralità è il presupposto dell’azione umana perché noi siamo tutti uguali, cioè umani, ma in modo tale che nessuno è mai identico ad alcun altro che visse, vive o vivrà» (Hannah Arendt, Vita activa)
Ripensare il lavoro per non diventarne schiavi e puntare sulla scuola come luogo non sottomettibile al mercato (anche se in questi anni hanno tentato di mercificarla la scuola). Quale scuola poi? Quale scuola dopo questi giorni dietro gli schermi? Questi giorni senza corpi? Una scuola che sia passione dei nostri corpi e dei nostri sguardi, delle parole vissute e incarnate nell’agire, pieni anche di quel silenzio che in questi giorni ci fa disperare, ancora pieni di dubbi, di paure, di domande, pieni del rimpianto di un anno non finito, senza quella scuola, la scuola, senza quei riti che non sono solo scena ma sostanza della nostra scuola, dell’essere studenti ed insegnanti, mani e banchi, ricreazione e chiacchiera, pieni ora di dolore perché non ci sarà l’ultimo giorno, la sfilata, la frase sullo striscione, l’ultima versione, la mattinata dell’ultimo giorno, il pranzo insieme, la notte prima degli esami, la corsa al banco per gli scritti…
«La scuola riaprirà. Non subito, ma presto. E allora cerchiamo di rifarla, questa scuola, non di ripartire come se non fosse successo niente ma di re-inventare. Proviamo a riempire ancora le aule di parole e suoni, ma che siano di tono e volume diverso. Portiamo dentro la scuola la nostra passione, la nostra energia, la voglia di stare fisicamente coi ragazzi, di spettinarli, di farci prendere in giro per l’inizio della calvizie o per la borsetta nuova. Riportiamo nelle nostre classi la vita, il respiro, la saliva, il sudore, tutto, letteralmente tutto quello che la nostra precaria e meravigliosa esistenza ci regala. Tutto, tranne questo silenzio». (R. Mantegazza, La scuola dopo il coronavirus).
(Testi pubblicati, con modifiche, su Cronache di una pandemia, in Totem magazine, https://www.totemmagazine.it/)


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