martedì 26 maggio 2020
Apocalittici e integrati
Stiamo fingendo che vada tutto bene, che tutto tornerà come prima, che la paura del contagio non ci sarà più, che torneremo a respirare un'aria buona senza mascherina, che saremo tutti senza maschera e, anzi, che la nostra attenzione, agli altri, al pianeta, al lavoro, alla scuola, alla famiglia, ai più deboli aumenterà, perché così deve essere, perché ci siamo resi conto in questi mesi che la società così com'era faceva schifo, perché ci siamo accorti che i nostri rapporti umani erano fasulli, perché ci siamo accorti che il capitalismo, col suo insistere su merci e produzione, individualismo e successo personale ad ogni costo, ci ha strappati via a noi stessi, rendendoci anonimi ed alienati.
Ma è una bugia. Non vediamo l'ora di tornare al modello di produzione distruttivo dell'ambiente e dell'uomo, al capitalismo sfrenato e senza regole, al calpestare diritti e umanità, all'anonimia mercificata delle persone.
Il tempo presente non è che lo specchio di ciò che siamo diventati: distanti e violenti, superficiali e dipendenti. E stiamo creando una separazione anche maggiore tra chi può permettersi le tecnologie più avanzate e chi resta indietro, tra chi può comandare e chi non ha niente e deve sottostare al ricatto del salario minimo per poter sopravvivere e alla derisione dei diritti. Questo tempo non sta annullando le differenze, le sta accentuando. Prendiamo ad esempio la scuola e vediamo come anche in questo periodo si siano perpetuate le differenze tra chi ha difficoltà o non ha strumenti per connettersi e chi può, tra chi in 5 deve destreggiarsi tra smart working e lezioni con uno smartphone e un computer e chi ha due telefoni e due computer solo per sé.
No, non andrà tutto bene se non saremo in grado di cambiare nel profondo, cambiare mentalità, stile di vita, essere. Il tempo rinnovato, il tempo liberato non si attuerà se perpetuiamo in modo diverso ma con gli stessi intenti i riti stantii e mortiferi di modelli passati. Le donne e i bambini continuano ad essere gli "oggetti" fragili, spezzati sull'altare del nostro dio, ego, forza, denaro, accumulo, successo...
Siamo oggetti. E la fragilità che il virus ha evidenziato, e che avrebbe dovuto portarci ad un paradigma sociale diverso, è servita solo a dividere e allontanare ulteriormente, a mostrare le crepe del nostro mondo, che si sono allargate ma non ci hanno spinti alla solidarietà dei muratori che lavorano insieme per costruire ponti. Dalle crepe sono cresciuti muri.
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