martedì 3 dicembre 2024

Frammenti

 




Ti ritrovo nelle pieghe del giorno (ogni mattino ma solo nel dolore, non sei in altri luoghi, solo lì ti ritrovo).

Quando l'ansia cede il posto alla speranza (si apre al levarsi dal letto, ogni volta si rinnova, ma non dura).

Ho un animo borghese che si accende (quando si accende? Si accende nel dibattito su morale e immorale, ruoli e comportamenti).

Ho sognato di te, papà, e delle tue parole (alcune feriscono ancora, sanguinano le ferite date da te a me, da me a te).

Scisso. Tra vita e rancore, (tra il bisogno di vivere i vent'anni e l'odio di non poterlo fare, tra la gioia della festa e il fastidio della tua malattia).

Perché non io (ed invece l'altro, gli altri, non io, mai).

Io ricordo... No, non ricordo.

 

domenica 25 agosto 2024

Presentazioni - Ricigliano




Ricigliano - L'inchiesta Matteotti

Mi occuperò esclusivamente di alcuni aspetti di questo libro, L'inchiesta Matteotti, non di quelli propriamente storici, vista la presenza del prof. Verrastro, ben più titolato di me ad affrontare il discorso storico legato al delitto Matteotti.

Io, più semplicemente, affronterò alcune questioni legate al libro, alcune parole, che mi hanno colpito e che credo siano il punto essenziale, al di là dell’aspetto storico, del volumetto. Oggi per il libro si parlerebbe di storia locale, ma in questo caso è una storia locale legata a filo doppio con la storia nazionale ed europea. Qual è il compito che si assume il prof. Ricigliano, dunque, con questo volumetto? Lo dice bene nell’avvertenza: il compito è quello di raccontare e documentare un momento fondamentale della storia italiana e che riguarda anche il paese natale di Ricigliano, San Fele. Allora: raccontare, innanzitutto, perché entrambe le etimologie di riferimento per questo verbo (quella comune, da COMPUTARE, cioè enumerare narrando, e meglio, per me, COGNITUS, rendere noto) ci dicono che qui c’è la volontà di portare alla luce attraverso la narrazione. Ma insieme c’è anche il bisogno di documentare il racconto, cioè di fornire una prova, un indizio, una testimonianza e, ancor più, un insegnamento (da DOCERE).

L’idea del libro è insomma quella di diffusione della cultura, consapevole il Ricigliano che solo in questo modo ci possa essere crescita civile e democratica. La diffusione di cultura permette di diventare cittadini consapevoli e responsabili, non facilmente manovrabili dal potere di turno. Viviamo in tempi in cui si assiste a due aspetti pericolosi di diffusione di “notizie”, non voglio dire di cultura: da un lato la riscrittura del passato, che vuole portare a porre tutto sullo stesso piano (nazifascismo e resistenza con le stesse colpe e responsabilità nelle stragi, ad esempio), quasi arrivando a giustificare le azioni delle SS oppure facendo un uso strumentale della memoria e della storia; dall’altro lato si agisce con la dimenticanza, che pone le nostre esistenze in un perenne presente in cui il passato e il futuro non esistono più. E pongo l’attenzione anche al futuro, proprio perché la memoria riguarda anche quale futuro ci vogliamo costruire. Memoria, accanto a raccontare e documentare, è il terzo elemento di questo libro. Ricordare significa richiamare nel presente del cuore (re-cordari) qualcosa che non è più qui o non è più adesso, e che però, nel solo tornare nel cuore, rivive come sentimento concreto, esperienza diretta. Un atto che è quindi sia intellettuale che sentimentale, che permette di consultare, interrogare il passato non per fuggirci malati di nostalgia, ma per comprendere ed essere capaci di cura e responsabilità nel presente e nel futuro. Per tenere alta la consapevolezza di chi siamo, da dove veniamo e dove abbiamo la possibilità di spingerci.

I libri ben scritti in genere e questo libro in particolare allora diventano fondamentali. Questo in particolare per il suo ruolo di riflessione critica su un evento, il delitto Matteotti, così importante per il corso delle vicende storiche in Italia.

Per parlarne Ricigliano analizza il ruolo diverso avuto da due magistrati, uno di San Fele, Donato Faggella, esimio giurista, e uno di Rodi Garganico, Del Giudice, che in modi diversi hanno avuto tra le mani il fascicolo del delitto Matteotti ed in modo diverso hanno agito.

Attraverso la ricostruzione storica e documentale (molti documenti sono poi riportati nella Appendice iconografica alla fine del libro), e soprattutto attraverso riflessioni sulla importanza della memoria, come elemento essenziale per capire il presente in cui viviamo, Ricigliano analizza il comportamento dei due giudici, elogiando l’atteggiamento del Del Giudice, fedele alla legge e alla propria coscienza, e stigmatizzando il comportamento del Faggella, che ad un certo punto si mostrerà prono al Regime, anche in virtù di certi favori (come la nomina a Senatore). Tutto questo scritto sine ira et studio, senza alcuna malevolenza o pregiudizio, ma solo con la volontà di portare alla luce i fatti di cui non tutti, probabilmente anche gli stessi concittadini di San Fele, sono a conoscenza.

Permettetemi di leggere solo un passaggio della conclusione a p. 117.

Ultima cosa: punto di merito è anche la scrittura chiara, semplice ma mai semplicistica, che utilizza termini giuridici o non comuni o letterari: qualche esempio? Compulsati, psittacismo, impreteribili, crimenlese, irremeabile, indettare, prosopografico, perduellione; ma anche modi di dire per rendere più vivo il racconto come tra il lusco e il brusco; di straforo; o ancora espressioni dal latino come ex abrupto, frangar non flectar, promoveatur ut amoveatur.

Insomma, un bel libro che, soprattutto nell'importanza attribuita alla memoria per il nostro presente offre un contributo di riflessione non di poco conto.   



 




Presentazioni - Covone








Giovanni Covone - Altre Terre

Professore associato, docente di Astronomia ed Astrofisica presso il Dipartimento di Fisica della Federico II di Napoli. Ha conseguito il Dottorato di ricerca in Fisica nel 2000 presso l'Università Federico II di Napoli. Ha lavorato all'estero presso MIT (Boston, durante il dottorato), il Telescopio Nazionale Galileo (Santa Cruz de La Palma, Spagna) Laboratoire d'Astrophysique de Marseille (Francia), Osservatorio Astronomico di Capodimonte (Napoli) e dal 2008 è ricercatore e poi professore associato all'Università Federico II di Napoli. I principali temi di ricerca sono la natura e la distribuzione della materia oscura, l'evoluzione delle strutture cosmiche e lo sviluppo del pensiero scientifico. In particolare si interessa di cosmologia osservativa (studio della materia oscura e nelle galassie) e della ricerca di pianeti extrasolari simili alla Terra tramite la tecnica nota come "gravitational lensing". È titolare del corso di Cosmologia (presso il Dipartimento di Fisica) e dal 2019 tiene il corso "Fondamenti di Fisica e Cosmologia" per studenti della Laurea Magistrale in Filosofia. Per mio piacere è la terza volta che incontro Giovanni qui a Potenza, e sono contento di poterlo avere qui durante i suoi numerosi viaggi in giro per l’Italia.

Il libro che presentiamo è un’opera godibile, chiara, bella, premiata da una giuria composta da studenti delle scuole secondarie superiori italiane con il Premio Asimov per l’editoria scientifica 2024. La ragione di questo riconoscimento conto di farla intuire da questa chiacchierata.

1) Altre terre, viaggio alla scoperta di pianeti extrasolari è il primo libro di Giovanni. Parliamo quindi di un viaggio che è innanzitutto personale, quello di un giovane studente di fisica interessato ai nuovi modelli teorici per spiegare le prime fasi di vita dell’Universo e che, invece, grazie all’incontro con il prof. De Ritis intraprenderà il percorso della ricerca dei pianeti extrasolari. Allora vorrei chiederti innanzitutto come hai iniziato ad occuparti di astrofisica ed in particolare del campo della ricerca dei pianeti extrasolari.

2) Il secondo aspetto di questo viaggio affascinante è quello che riguarda la scienza. Personalmente sono rimasto colpito da due storie del libro e che vorrei tu ci raccontassi anche in relazione alla loro importanza ai fini della ricerca: quella di Van de Kamp e quella di Campbell.

3) Con queste due storie, Giovanni, abbiamo parlato di insuccesso, di errore, di sfiducia. A volte siamo portati a credere che la scienza sia fatta di “magnifiche sorti e progressive” come scrive ironicamente Leopardi ne La ginestra. In realtà tu racconti tanti insuccessi ed errori nel libro (Jacobs, Lyne…). L’errore è la base per “mostrarci la strada della verità” e per il progresso successivo?

4) Il cuore del libro a me sembra essere la vera e propria domanda su altri abitanti nell’Universo. A questo punto del nostro percorso di ricerca, “siamo soli nell’Universo”? A che punto siamo tra il paradosso di Fermi (che durante una discussione informale nel 1950, espose un interrogativo che ancora oggi rimane senza risposta certa: “Dove sono tutti?” riferendosi all’apparente mancanza di prove conclusive dell’esistenza di civiltà extraterrestri, nonostante le possibilità teoriche di vita nel cosmo) e la convinzione di Struve sulla grande probabilità che molti miliardi di pianeti della Via Lattea ospitino forme di vita intelligente?

5) Ci sono molte altre storie interessanti nel libro che riguardano i pianeti: la storia del declassamento di Plutone, i pianeti “perduti”, i pianeti che orbitano intorno ad una pulsar, i gioviani caldi, le super-Terre. A che punto siamo nella ricerca dei pianeti extrasolari?

6) Un libro nel libro, Giovanni, potrebbe chiamarsi Altri libri o le avventure dello scrittore. Ci sono tanti riferimenti ovviamente alla filosofia, che per prima si è interrogata sull’Universo, ma poi anche alla letteratura (Leopardi, Montale, Asimov, Edgar Allan Poe, Calvino, Levi, Dante, De Luca…). Quanto entrano in relazione l’immaginario letterario e cinematografico (citi Interstellar, 2001 Odissea nello spazio, Star wars) e la ricerca scientifica in senso stretto?

7) Mi raccontavi, l’ultima volta, che oramai l’osservazione astronomica non è più fatta come ai tempi di Galilei, direttamente col telescopio, ma analizzando dati trasmessi ad un computer, secondo tecniche diverse: microlensing gravitazionale, transiti fotometrici… e con strumenti diversi (giganteschi telescopi terrestri, telescopi orbitanti, radiotelescopi). Qual è il punto sulle tecniche più promettenti nella ricerca dei pianeti?

8) Tornando al libro. Come ti è venuta l’idea di corredare il libro con figure, disegnate da te, che esplicitano alcune idee presenti (un po’ come le incisioni di Galileo nel suo Sidereus Nuncius)?

9) Nel libro si fa cenno anche alla scoperta di TOI-700d, il primo “gemello” della Terra, come è stato definito anche con toni sensazionalistici dalla stampa. È realmente un pianeta simile alla Terra o allo stato attuale non abbiamo modo di sapere esattamente come sia fatto?

10) Per tutta la serata ci abbiamo girato intorno, come un pianeta intorno ad una stella. I pianeti diciamo abitabili, anche se esistessero (ma la Natura ci ha sorpreso con tanti altri tipi di pianeta) non sarebbero raggiungibili, si troverebbero a distanze siderali da noi. E allora: a che cosa punta la ricerca? È dettata solo dalla curiositas? Dall’inesausto desiderio di conoscenza del genere umano? O solo per capire la casualità, la fragilità e l’importanza del nostro “pallido puntino blu”?



Presentazioni - Gallo Moles



Gallo Moles - Voci di donne

Ho incontrato questo libro per caso, perché Luciana è la nonna di una mia ex alunna e perché mi ha detto che, in qualche modo, la sua scrittura era nata da un esercizio che avevo dato a Ludovica, la nipote. Questa è la premessa. Ma cosa mi ha colpito del libro? Partiamo dal titolo. Voci di donne. Dare voce alle donne. È già indicativo degli intenti, dare voce a chi “normalmente” non ce l’ha. Credo sia il primo aspetto meritorio. In un tempo in cui le voci delle donne sono cancellate, le donne sono cancellate un libro del genere è importante.

Ma quali donne? Ecco, qui mi sembra appaia chiaro un intento didattico. Luciana, insegnante, esperta di didattica, sceglie voci di donne note, famose, o meglio famigerate, che possano avere anche un uso didattico: da Eva a Cleopatra, da Aspasia a Didone, da Beatrice a Fiammetta. Dieci voci di donne che sono state raccontate da uomini e che qui invece prendono corpo. O meglio: il racconto è fatto su due piani; Chi dicono che io sia, dove, attraverso una ricca disamina delle fonti, l’autrice fornisce il quadro critico di ciò che è stato detto su queste figure femminili. Sono per la maggior parte dei casi voci di uomini che le hanno raccontate. La seconda parte è Chi dico che io sia: questo è, invece, un gioco letterario interessante, perché è una reiterpretazione, un esercizio insieme fantastico e critico.

È un esercizio che propongo spesso ai miei alunni, mutuato sulle interviste impossibili (o colloqui fantastici postumi) di Umberto Eco o Italo Calvino, ma qui l’intento è anche civico, cioè assume il punto di vista di chi è stato raccontato ma non ha mai avuto una propria voce, di chi ha assunto, in virtù di quel racconto scritto su di lei, una forma definitiva, qui indicata dal termine che accompagna il nome (adultera, angelicata, etera, peccatrice…). Penso a Laura, a Beatrice, a Francesca da Rimini (che sono le figure femminili su cui spesso faccio esercitare i miei alunni), ma anche Lesbia o Medea.

Permettetemi questo inciso: c’è un libro di Christa Wolf che si intitola Medea, Voci, che rilegge il mito euripideo della maga della Colchide alla luce di fonti pre-euripidee e che scagiona completamente Medea (a cui potremmo aggiungere il termine la straniera per non usarne uno peggiore) dalle terribili colpe che le vengono attribuite. Attraverso una serie di voci (tra cui anche quella di Medea stessa), la donna traccia un quadro del tutto diverso del mito, «una donna travagliata sì dall'amore, ma ancor più dall'incapacità degli abitanti di Corinto di integrare una cultura come quella della Colchide, per sua natura non incline alla violenza. Non un'infanticida dunque, al contrario una donna forte e generosa, depositaria di un remoto sapere del corpo e della terra, che una società intollerante emargina e annienta negli affetti fino a lapidarle i figli» (Anna Chiarloni, Postfazione).

Ecco. Questo secondo me è il compito di un esercizio del genere: mettersi nei panni di, fare un esercizio critico su, dare voce a chi non ce l’ha se non attraverso gli altri. Il punto di vista della Beatrice di Dante e della Laura di Petrarca diventa gioco ma soprattutto esercizio di comprensione. E anche rovesciamento di luoghi comuni. Fa comprendere magari realtà negate a quelle donne e uomini, rovescia storie raccontate in un certo modo. Certo, c’è bisogno prima di acquisire conoscenza di ciò che dice l’autore, di ciò che racconta il mito, di ciò che scrive la storia per poter cercare di comprendere e rovesciare dei modi di vedere codificati.

Esercizio meritorio, dunque, tanto più se si dà voce alle donne, da sempre indicate con stereotipi di seduttrici, prostitute, peccatrici o, al contrario, di angeli, pure e beatificanti.

Un ultimo punto vorrei brevemente toccare: la parola. Qui, ovviamente, siamo in presenza di figure note della storia, della letteratura, del mito, ma attraverso di loro prendono voce le altre, quelle a cui viene negata la parola, e negare la parola significa cancellare, negare il volto, l’esistenza, la vita stessa. Ridare voce a chi voce non ha. Tra le pieghe del testo, anche tramite le parole di altri scrittori. Si ridà dunque la fisionomia a quei milioni di volti spesso dimenticati, gli assenti. Come scrive Hans Magnus Enzensberger



Non li ha inghiottiti la terra. Era l’aria?
Come le arene del mare innumerevoli; non in arena
però conversi ma in nulla. A schiere
dimenticati. Spesso e di mano in mano,
come i minuti. Piú fitti di noi
ma senza ricordo. Non registrati,
non decifrabili nella polvere ma scomparsi
i loro nomi, i cucchiai, le suole.

Noi non li compiangiamo. Non può nessuno
rammentarsi di loro: sono nati,
fuggiti, morti? Dissolti
no. È senza lacune
il mondo ma lo tiene insieme solo
quel che non l’abita piú,
coloro che sono scomparsi. Essi sono dovunque.

Senza gli assenti, nulla ci sarebbe.
Senza gli esiliati, nulla sarebbe saldo.
Senza gli incommensurabili, nulla di commensurabile.
Senza i dimenticati, nulla di certo.

Gli scomparsi sono giusti.
Cosí anche noi in un’eco.




martedì 20 agosto 2024

Note minimali per viaggiatori a piedi – Cilento

 



Mi piace spostarmi a piedi nei luoghi visitati, specialmente in quelli dove sono di casa, in cui ho una assiduità di presenza di cinquant’anni. I sentieri qui indicati sono minimali, tracce vissute in diversi anni in bici o a piedi e fanno riferimento all’ultimo soggiorno, dal 12 al 17 agosto 2024. Non porto strumenti con me, e quindi le distanze sono indicative. Ogni percorso ha lo stesso punto di partenza e di arrivo (il Parco delle Acacie della zona Lago), così come, indicativamente, lo stesso orario di partenza, le 14,30. È da sempre che ho scelto questo orario per gli spostamenti, sia in bici che a piedi, quando sono in vacanza; mi ha permesso di spostarmi con più tranquillità quando i figli erano piccoli (l’ora del riposino) ed anche ora, pur se solo, ho mantenuto l’orario. Non è consigliabile, probabilmente, e non solo in periodo di cambiamenti climatici, per il forte caldo. Comunque, attrezzato di borraccia, cappellino e asciugamani bagnata ho percorso in 6 giorni sei sentieri di diversa lunghezza e difficoltà. Tutti fattibili, se li ho fatti io.


1. Lago – punta Licosa – Lago (17 km in piano 3h 40’). Il percorso si snoda lungo la spiaggia della zona Lago, il lungomare di Santa Maria e la spiaggia che unisce Santa Maria a S. Marco. Giunti lì si può provare a percorrere la scogliera fino al porto di San Marco, con la difficoltà di dover attraversare tratti in acqua o arrampicarsi su rocce franate (giusto il giorno prima c’era stata una frana). All’andata ho provato questo percorso (scivolando, tra l’altro…) per poi risalire lungo una scala nella roccia sul sentiero naturalistico “La Grotta” (che poi ho fatto al ritorno). Percorso il sentiero si arriva al porto di San Marco (c’è una fontana dove dissetarsi, una delle poche trovate…) e da lì, dopo pochi metri c’è una salita a sinistra (segnalata) che porta al sentiero per Licosa. Il percorso è bello se non fosse per motocicli e macchine che passano ed ha cartelli esplicativi lungo la strada. Alla fine del sentiero, a sinistra, si apre la strada che conduce ad Ogliastro lungo la pineta. La strada è però privata. In realtà a piedi e in bici si può fare, magari senza arrivare al cancello di ingresso di Ogliastro, entrando in qualcuno dei sentieri che vanno nella pineta per riposarsi. Il mio percorso però per il primo giorno si è concluso a punta Licosa. Da lì una breve sosta ed il rientro per la stessa strada (senza scogliera) al ritorno.


                             



2. Lago – Castellabate – Lago (12 km con un dislivello di 244 metri 3h). Arrivati alla fine del lungomare di Santa Maria, si sale per l’ultimo tratto di corso Materazzo per immettersi sulla statale 267 che, dopo qualche centinaio di metri, sale a sinistra per Castellabate. Lì, di fronte al parcheggio sulla destra, si apre il sentiero San Costabile (lungo la salita c’è un rubinetto d'acqua) che in circa 2 km di rocce, terra ed un attraversamento stradale, sale ai piedi del paese. Da lì ci si arrampica lungo le scale del bel paesino fino ad arrivare al Belvedere. Per tornare indietro, dal belvedere ho fatto due scalinate a scendere, ho percorso un po’ della strada provinciale Cilento e poi, di fronte alla chiesetta lungo la strada a destra, si sale una scalinata che ci riporta ai piedi del paese da cui riprendere il sentiero. Alla fine del sentiero si può scendere per un’altra scalinata e fare il percorso dalla spiaggia di Santa Maria senza riattraversare corso Materazzo.


                                               

3. Lago – monte Tresino - Trentova – Lago (17 km saliscendi con un dislivello di 240 metri circa 5h 30’). Il percorso più bello per i panorami che si aprono. Alla fine della spiaggia della zona Lago, si sale per una scalinata che conduce ad un parcheggio e, da lì, a sinistra inizia il nostro sentiero del monte Tresino. I paesaggi sono affascinanti, il percorso se pure in salita è facile e si apre sul mare. Lungo il percorso, sempre ben segnalato (percorsi CAI), si incontrano ruderi. Superato un cancello aperto ed una lunga salita ci si trova davanti un trivio. In realtà è possibile percorrere tutte le strade: quella a destra (continuata fino in fondo) conduce a San Pietro (vicino a c.da Cerrine). Quella a sinistra ad Agropoli (l’ho fatta in bici diversi anni fa e l'ho rifatto a piedi con mia moglie quest'anno: corrisponde al percorso 701 ed è agevole per la maggior parte, essendo tutto in piano e attraversando una zona ombrosa. Lungo il percorso si raggiunge l'antico villaggio, oggi abbandonato, di S. Giovanni, poi si supera una sbarra chiusa - c'è una apertura laterale - e si prosegue facendo attenzione ai segnali, incrociando il sentiero 702 e raggiungendo Trentova). Io ho preso quella centrale, un po’ più complicata ma che mi garantiva un percorso lineare. I percorsi CAI segnalati nella zona sono il 700, il 701 e il 702. Io ho fatto il 702 incrociando anche il 701. Ci si arrampica fino ad incrociare un percorso stretto (con i rami delle piante che bloccano in alcuni punti il passaggio) che scende fino a giungere alla baia di Trentova ad Agropoli. Lì è possibile fare un bagno prima di rimettersi in marcia e, in senso contrario, ritornare al monte Tresino. Per la strada del ritorno ho seguito la recinzione di una proprietà privata alla destra e quindi sono giunto in un punto più a ovest del percorso. Svoltando a destra ho ripreso la via per il ritorno. Niente acqua lungo il cammino. Per dissetarmi sono dovuto arrivare alla fontana in prossimità dell’antica chiesa di Sant’Antonio da Padova nella zona Lago.

                     


4. Lago – Semaforo 1 – Licosa – Lago (19 km 4h 10’). Il percorso riprende integralmente quello del primo giorno ma si ferma prima di arrivare a punta Licosa all’indicazione Semaforo. Di qui si sale per un sentiero prima di terra e rocce e poi per un sottobosco umidissimo. Alla fine del percorso si apre un bivio. A destra si va a Semaforo uno che conduce ad una antica torre di vedetta ormai rudere e poi, scendendo per una ripida discesa diruta e poi seguendo il sentiero che attraversa una pozza d’acqua, si arriva sulla strada che congiunge Licosa ad Ogliastro. Il ritorno verrò fatto andando a destra e da lì riprendendo la strada da punta Licosa a San Marco, Santa Maria, Lago.


   


5. Lago – Semaforo 2 – San Marco – Lago (19 km 4h 30’). Stessa strada del precedente percorso solo che si salirà a sinistra. Anche qui troveremo, a fine percorso, una torre di controllo. Continuando il percorso a sinistra si scenderà in una pineta alla fine della quale si incontrerò una strada asfaltata. Girando a sinistra si continuerà il cammino fino a giungere al porto di San Marco e da qui a Lago.

                 

        

6. Lago – Alano – San Pietro – Tresino – Lago (15 km 3h 50’). Il percorso si snoda lungo una strada asfaltata fino a San Pietro. La fontanina che ricordavo esserci quando andavo in bici c’è ancora (vicino alla chiesetta) ma non dà acqua. Di fronte al bivio per San Pietro c’è una madonnina che indica la strada (quella a sinistra e che corrisponde al sentiero 702 che incrocia anche il 701 salendo verso Tresino). Si continua lungo la strada asfaltata fino ad incontrare uno sterrato sulla sinistra all’altezza dell’hotel Tresino. Si percorre questo sterrato che ci riporterà sul percorso svolto il terzo giorno.







Camminare a piedi apre la mente e il cuore, riporta ricordi, odori. Anche la fatica è piacevole, senza noia. Ci si sente in pace con la natura e anche i paesi, dall’alto, sono più belli. Il piacere della vista sgombra la mente, lenisce le ferite dell’animo, placa il pianto.











mercoledì 17 luglio 2024

Cuore nero

 



Li vedi, sì? Li ascolti? Tutti intorno a noi, nel linguaggio che usano, nei gesti che fanno, la violenza esibita, l'odio per il diverso, chi non è come loro (maschio, bianco), la donna oggetto, un golfo da conquista. 

Li vedi, no? Li vedi nel pensiero informe, nella forma a cui danno vita nelle nebbie dell'oggi, nel vuoto degli schermi in cui si riflettono, nell'eccesso di bevute, di battute, di chi si fa forte nel gruppo.

Lo vedi, ora? E' il nostro cuore nero. 

sabato 27 aprile 2024

Niente, e ancora niente

 


Niente, e ancora niente in questo tempo incerto
perduto l'intero, mi restano frammenti,
frammenti di te, del tuo viso, frammenti di memoria,
e cose, oggetti che rigiro tra le mani, raddrizzo e capovolgo
cercando il possibile dal vuoto della mente,
cercando il senso, un gesto, una voce che non riempie,
no, non riempie, il messaggio, la parola "senti", che ripeti,
ed io ascolto, ma resto vuoto, dentro, e quel vuoto,
lo sai, sì, lo sai anche tu, ingoia tutto, le cose fatte,
i sorrisi, il lavoro quotidiano, il mare, i sogni, gli abbracci,
e l'amuleto che porto, questo anello che giro tra le mani,
tra i pensieri, in tondo, in questo cielo azzurro
o tra le carte sporche di una scalinata abbandonata,
di fretta, sempre di fretta, per riempirlo quel vuoto,
l'angoscia del silenzio, dello schermo che riflette le paure,
che riflette il mio viso e la nebbia che ci avvolge,
e niente, niente resta oltre questo, questo nulla,
questa paura, questo pianto, questo oggetto
che non vuol dire altro, se non l'eco di me nella stanza...
"Sono stanca", mi ripeti. 
                                            Io, come sempre, non rispondo.

domenica 10 marzo 2024

Io ricordo - Io, non Noi

 





Non c’era più la discussione della politica, di un sentire comune e condiviso quando sono arrivato io. Sono arrivato troppo tardi o troppo presto, forse. Durante i pranzi, a casa, alla fine degli anni Settanta, si restava in silenzio o si ascoltava il telegiornale delle 13,30 sul primo canale. Ricordo ancora la notizia del sequestro Moro, Il 16 marzo 1978 e poi il ritrovamento del suo cadavere, il 9 maggio a Roma in via Caetani. Lo ricordo perché la notizia venne data al TG, ed io ero a tavola con i miei genitori ed i miei fratelli, ma nessun commento ci fu mentre si mangiava (forse gli spaghetti al pomodoro, che è il ricordo di cibo più vivo che ho di quegli anni). La politica non entrava in casa, tanto meno a tavola.

Solo più tardi, all’Università (erano finiti i tristi anni Ottanta, quelli rampanti degli Yuppies) compresi il senso di comunità politica che discute del presente, si interroga, si scontra. Era il 1990, l’anno della Pantera, delle occupazioni universitarie contro la riforma Ruberti per le Università. Allora ho sentito la forza viva di un pensiero che diveniva parola, nelle riunioni infinite nell’aula magna occupata, nella condivisione di cibo per terra nell’atrio, fumando una sigaretta e parlando di capitalismo, di musica, di teatro, di lavoratori. Quella stagione diede vita nell’Istituto Universitario Orientale di Napoli, al CUT, il Centro Universitario Teatrale La nave dei folli, e all’idea che l’arte non fosse quella cosa lontana dalla vita di ogni giorno, ma fosse carne, sangue, azione.

Vivevo scisso: tra la famiglia con cui trascorrevo i pranzi domenicali nel silenzio o nella chiacchiera vuota come di spot pubblicitari, e l’ansia della corsa nella settimana tra la lettura del Manifesto, il caffè con Giulio all’Astra, le riunioni e le prove del CUT e l’ansia della vita adulta che bussava.