venerdì 3 ottobre 2014

Naufragi



«Mi chiedi del naufragio, un naufragio che è già in atto da tempo. Ma io non so scrivere di naufragi né di altro. Navigo a vista, osservando quello che conosco, senza un porto sicuro verso cui dirigere, ed anche il luogo dal quale sono partito l'ho dimenticato. Ripeto, navigo a vista, osservo, intorno, le zattere degli amici: alcune mi fanno compagnia, altre sono scomparse da tempo sommerse dai flutti, altre ancora hanno raggiunto il loro porto sicuro o ci navigano verso. Io solo aspetto, "teso all'ascolto, col fiato sospeso".
Ora che non c'è vento posso parlare, perché la voce non si disperde. Quando si alza il vento, o tra le zattere passano barche a motore, null'altro si sente se non un rombo di tempesta e il gridare di noi è vuoto, ci ritorna contro come, come il dolore di una ferita riaperta. Ma ora non c'è vento e posso chiamare il compagno per nome, scambiare un saluto dalla distanza, ricevere un sorriso d'intesa.
No, non c'è naufragio, ma lento andare alla deriva, quasi senza accorgersene, con i brandelli di memoria a tenerci compagnia nell'attesa che arrivi la notte. Sono la nostra forza, la nostra miseria, il resto della giornata appena trascorsa. Se fosse naufragio non ci sarebbe tempo di pensare: solo un grido e poi uno scendere a fondo, "nel gorgo, muti". Ma qui c'è spazio ai pensieri, giorno dopo giorno, domani dopo domani, e poi l'altro e l'altro ancora. Tutto uguale, nulla muta, nemmeno la speranza, straziante, che l'amore possa salvarci, un amore. L'inganno è sperare che qualcosa muti, che ci sia ancora tempo per un altro bacio e un altro addio, ma non c'è mai tempo, perduto dietro il niente... forse ne abbiamo troppo.
Ma non era questo, aspetta, che volevo dire, sì, il naufragio, IL naufragio.
Non è il Luogo, Meta, Porto che cerco, quello dietro cui, perduti, troppo spesso dimentichiamo il luogo di passaggio, questo mare. Non è di passaggio, è altro. Ci sono colori e odori che non cogli se non butti un sasso legato, una pietra per fermarti; ci sono pesci che non vedi se guardi troppo lontano o troppo in alto o anche solo se guardi esclusivamente la tua zattera.
Soffermarsi, questo cerco, nel naufragio di ogni giorno. Ma questo è il sogno del naufrago, la sua scusa banale all'incapacità della rotta. La notte mi smentisce quando, da solo con le stelle, sono preso dall'angoscia dell'oggi, dall'inquietudine che il nulla porta con sé.
La notte mi smentisce e mi accusa di questa accidia, della stanchezza, della fuga, dell'inedia, dell'orrore, dell'errore... Arriva improvvisa, dopo un tramonto che promette gioie inattese, riposo ai desideri. La notte getta la maschera, l'iceberg è davanti e non c'è nascondiglio. Enorme biancheggia la luna o il suo riflesso, ma intorno è buio, e sei solo coi tuoi pensieri e il tuo iceberg nel cuore. E aspetto, aspetto sempre l'alba, tremando, pregando che arrivi presto a dissolvere le paure dell'essere perso in un universo sconosciuto, tra volti anonimi, nel vuoto.
Poi arriva l'alba.
Ma forse confondo, forse nel naufragio siamo tutti, persi, dispersi dietro un sogno, una speranza, un'illusione, ognuno con le sue certezze ("credo, anzi ne sono certo, è così...") e al porto sono io, il porto della disillusione. Ma davvero credo che nel naufragio ci sia il mondo intero che corre veloce tra guerre, distruzioni, incomunicabilità, consumismo, orrori vari del nostro tempo, mentre prosegue, come sempre, "la festa in prima classe".
Se c'è il racconto di un naufragio che ben indica il nostro oggi quotidiano è quello del Titanic (narrato poeticamente da H. M. Enzensberger: mentre la nave affonda l'orchestra continua a suonare e sui battelli si salva la prima classe o i furbi o gli armatori corrotti). Che altro naufragio narrare dopo questo? Non li rappresenta tutti i nostri piccoli naufragi quotidiani? Il naufragio di un amore, di un sogno, di un lavoro, di una fede, di un ideale, di noi stessi. Non rappresenta il naufragio di un'epoca che oggi vive il suo trionfo? Non siamo già naufragati tutti ed il resto è solo sogno, il sogno che non sia già troppo tardi? Vorrei credere che non sia questa la fine che ci sia spazio al NOI e che sia infine spento questo egoismo che pure mi appartiene.
Banalità, dirai. Io davvero non so. Ma cosa sono, allora, tutti questi relitti che danzano nell'acqua?
Foto ingiallite, pezzi di legno, ritagli di giornale, valigie vuoto, un maglione inzuppato, biglietti di auguri, fiori secchi, lettere d'amore... Oggetti di una vita dispersi tra altri mille e niente conta più davvero, nemmeno quel sogno a cui ostinatamente ci lega lo sguardo puro di un io ragazzo.
Ma io ti dovevo parlare di un naufragio e non so, invece, di cosa ho vaneggiato, qui, da questa mia solitudine.
Dalla mia zattera, a voi, felice viaggio, in attesa di una terra».

Conclusione provvisoria
E allora. Non so bene cosa dirti, oggi. E' che mi sento strano, senza riferimenti, una sorta di naufrago che ha intorno solo mare. Dovrei navigare a vista, smetterla di sognare le isole tropicali piene di palme e bambù, luoghi a misura d'uomo in cui gli incontri sono veri, ma non riesco.

Lontani i porti, io rimango nella bonaccia di settembre a guardare le nuvole che annunciano pioggia.

(1999)

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