Se ripenso al passato credo che la prima coscienza della morte sia avvenuta in terza media. La mattina avevamo avuto notizia che era morto il nonno, che in estate avevo avuto modo di incontrare in ospedale.
(In quella occasione mi aveva sussurrato poche parole a cui non avevo dato peso e che poi, negli anni, ho cercato di ricostruire. Oggi penso che non fossero altro che comuni raccomandazioni a comportarmi bene, a fare il bravo...).
(In quella occasione mi aveva sussurrato poche parole a cui non avevo dato peso e che poi, negli anni, ho cercato di ricostruire. Oggi penso che non fossero altro che comuni raccomandazioni a comportarmi bene, a fare il bravo...).
A scuola non c'era la nostra docente di Italiano ma una supplente che ci chiese di scrivere di un avvenimento che ci era accaduto. Costretto, nel silenzio di quell'ora, a pensare, scrissi del nonno e del mio sentimento di dolore gridando, ad un cielo già muto, la richiesta di far morire me prima di veder perire altri cari.
(La mia preghiera non è stata esaudita. Negli anni altre persone care sono andate via. I loro nomi sono incisi in me come croci. Il ricordo è l'unico atto di religiosa pietà che mi è rimasto. Ma non è questo il momento per parlare di loro).
Oggi ripenso a quel primo incontro, allo stupore attonito che riprovo oggi. Ancora una mattina, ancora una telefonata, ancora mentre vado a scuola. Si ripetono gli atti esterni e con loro lo stupore della perdita. No, non c'è ancora perdita, c'è l'ictus, il coma, la lunga operazione, l'attesa...
Eppure io prego ancora, ma prego perché non si salvi, perché quell'uomo forte abbia pace e non sia costretto a rimanere immobile, demente, afasico o non so che altro. Chiedo che non si svegli, nonostante il suo corpo resista ancora, perché nella sua vita ha visto realizzati i suoi sogni (le figlie laureate e con un lavoro, una casa per ognuna di loro e per sé, la campagna e i prodotti della propria fatica, gli amici, i nipoti...), perché non c'è altro da chiedere o da lasciare indietro (se non una moglie disperata, ma sarebbe diverso con lui vivo incapace all'azione e alla parola?). (29 aprile 2012)
Questo scrivevo una vita fa. Lo scritto è rimasto come bozza per due anni. Lo pubblico oggi, così come scritto quel giorno, quando la sua vita rimase a metà, senza parole, su un letto, come vuoto contenitore. Ora che è morto ed è stato pianto, sia pace per chi rimane.
Anche quest'anno, lo sai, ti abbiamo ricordato nei piccoli gesti del fare la salsa, parlando di te tra bottiglie e pomodori. Così, mi piace pensare, ti sarebbe piaciuto che trascorresse il tuo ricordo, non con visite ad una tomba, ma con i gesti di chi hai amato.

Nessun commento:
Posta un commento